Un’opera davvero sensazionale e
variegata quella proposta dalla poetessa torinese Floriana Porta in
collaborazione con l’artista performativa romana Anna Maria Scocozza
recentemente edita da Ventura Edizioni di Senigallia. Siamo fatte di carta[1]
– l’avvincente titolo che fa pensare alla canonica locuzione “Siamo fatti di
carne” per riferirci a noi umani – è il titolo di questa raccolta che vede,
pagina dopo pagina, una riuscita commistione di codici tra le due artiste: la
poesia di Floriana Porta – nota anche per la sua grande competenza in fatto di
analisi e studio della poetica orientale del mondo haiku – e dunque la Parola
nel suo più alto senso del termine e la materia di Anna Maria Scocozza il dato
oggettuale e – data la scelta del riciclo – residuale, della carta.
La carta, come si sa, ha una sua storia
che rimonta all’esigenza dei popoli di comunicare e di tramandare loro
contenuti che li ha visti farsi promotori di segni arcaici di trascrizione che
sarebbero divenuti i futuri alfabeti. La carta è una delle maggiori scoperte
della storia che fece seguito all’utilizzo del papiro degli egizi e ad altre
tecniche (come la carta di riso in Oriente) che nel tempo si dimostrarono
sempre di più difficile impiego a causa della complicata lavorazione, dei costi
e della vulnerabilità per il deperimento del materiale.
La carta rimane comunque – se la
pensiamo al confronto con altri materiali come il vetro, il ferro e la pietra –
senz’altro qualcosa di leggero e vulnerabile, la concettualizziamo come una
sorta di velo che facilmente può prendere la via del vento o rendersi
deperibile, sprofondare sotto un peso di poco superiore. È un’entità concreta
le cui peculiarità sono la sua finezza (ci si riferisce, non a caso, alla sua
grammatura in relazione alla sua densità), la leggerezza, la permeabilità (è in
grado di trattenere liquidi imbevendosi fino alla saturazione totale), la
duttilità che la rende tra i materiali privilegiati per lavori quali il decoupage,
le decorazioni, la cartapesta e altro ancora. Con essa, non è un mistero per
nessuno, si possono fare milioni di cose al punto tale che, in varie forme,
ogni giorno la utilizziamo più e più volte in vari ambiti e, nonostante la
dematerializzazione e la digitalizzazione procedano a passi da gigante, non
possiamo fare a meno.
Il fatto che Anna Maria Scocozza l’abbia
genialmente scelta come suo privilegiato mezzo espressivo e l’abbia innalzata
(si tratta di una poor art, possiamo
concederci questa terminologia) a elemento primo dotato di significati è di per
sé qualcosa di notevole. Si obietterà che non è la prima che fa qualcosa del
genere e questo è certamente vero. L’artista siciliana Giuliana Fileccia –
poetessa e scultrice – ha prodotto negli ultimi anni una serie di opere, da lei
definite di “Poesia Sculturata”, dove fa interagire sue poesie con materiali
combinati rigorosamente dell’arte povera. Ed è questa, una tecnica o un
procedimento, abbastanza comune oggigiorno, quello della commistione tra arti,
della condivisione artistica, del connubio tra linguaggi, tendenze espressive e
volontà creative. La Scocozza impiega la carta nella costruzione di un
guardaroba di abiti che è anche – se vogliamo – una sorta di immaginario mitico
e infantile.
La carta è senz’altro legata a doppio
filo ai bambini: pensiamo ai loro primi approcci col foglio bianco e i colori,
alla scoperta che dei bastoncini lasciano meravigliosamente sul foglio delle
linee, rotte o sghembe, senza comprenderne l’origine. Si pensi al loro contatto
con i primi libri quando entrano a scuola, ma anche alle carte dei giochi da
tavola con i quali vengono a contatto, gli stupendi libri con copertina dura
cartonata e le fiabe illustrate con colori superlativi da far viaggiare nel
tempo, rese vive dalla lettura dei cari nonni per veicolarli nel dominio di
Morfeo. Insomma, la carta richiama senz’altro quell’infanzia pulita e
spensierata, quell’approccio primordiale e disincantato del piccolo verso
un’alterità (una rappresentazione esterna) costituita proprio dalla narrazione
di un libro. Da un contenuto extra-personale. Da un mondo parallelo (sia pure
favolistico) a portata di mano e, dunque, a una molteplicità di possibilità.
Floriana Porta in una sua dichiarazione
di poetica rivela che ha scritto le sue poesie ispirandosi all’eco-filosofia
che stimola Anna Maria Scocozza (da lei definita fiabescamente «donna rara,
limpida, intimamente mescolata con la forza vitale della natura. È amica dei
fiori, delle erbe selvatiche, delle api laboriose, delle acque silenziose, del
vento, delle farfalle, delle radici, delle gemme, delle nebbie, degli
arcobaleni e dell’universo intero») unitamente al fascino che da sempre nutre
per la tradizione orientale, dal predominio dell’elemento naturale ai moti
irrefrenabili degli impulsi vitali, dei cicli, della rinascita, dei moti di cambiamento
e delle metamorfosi continue.
Le tematiche del volume sono varie: la
natura e i suoi misteri, il tempo che scorre, la donna e la femminilità (il
sottotitolo dell’opera parla testualmente di una “rinascita al femminile”), la
ricerca interiore, la tensione alla spiritualità, ma anche il dolore, ambito
immancabile del percorso (e della crescita) dell’uomo nelle sue tante «storie perse nel tempo» come scrive la
Porta.
Il mezzo prescelto per comunicare i
propri messaggi è quello della carta: tanto la pagina del libro sulla quale si
stagliano i versi di Porta quanto le creazioni oggettistiche di Scocozza del
suo curioso “guardaroba poetico” rigorosamente al femminile dove sfilano capi
di vario tipo, da abiti propriamente detti a lingerie fino a décolleté e
gioielli. La carta è riciclata e questo ci fa immancabilmente riflettere. Quale
materiale di risulta è in linea con la volontà di un recupero dell’organico
motivato anche da ragioni ecologiche. Il riuso e la conversione del materiale
sono azioni autentiche con le quali la Scocozza plasma il suo materiale primo,
trasmettendo forme e contenuti. La carta diviene, dunque, tanto il fine stesso
dell’atto creativo quanto il mezzo fondamentale del progetto sostenibile,
condiviso con la poetessa Porta.
Sara Durantini nella prefazione al
volume osserva: «Siamo fatte di carta ha la particolarità di porsi come
un dialogo intimo tra la parola e l’immagine, un incontro tra poeta e artista.
La sua semplicità materiale si contrappone alla ricchezza creativa, sfidando l’idea
tradizionale di valore nell’arte».
Le poesie di
Porta divengono origami abilmente costruiti che man mano balzano dalla pagina e
prendono vita propria. I contenuti, talora intimi quando addirittura sociali,
dei suoi componimenti investono direttamente il lettore come quei libri-gioco
cartonati (o libri pop-up) per bambini che, aprendoli e sfogliandoli, vedono
costruirsi ed erigersi dinanzi a te montagne, mondi prismatici, costruzioni che
si fanno sempre più prossimi all’osservatore, destando stupore per la loro
grande capacità mimetica nella loro forma tridimensionale. Il prodotto finale è
un libro che non è solo oggetto ma essenza del meraviglioso: ricco e versatile
nei contenuti, muliebre e originale, si determina per la sua ricercatezza e
creatività che ne fa un oggetto che, in fondo, non è propriamente definibile in
chiave univoca. Sempre
la Durantini scrive: «un progetto che sfida le convenzioni e celebra la
creatività artistica come un’esperienza profondamente personale e
significativa».
Viviane Ciampi
ha scritto che le due autrici-compositrici «Non si limitano a celebrare la
femminilità in senso convenzionale, ma ne esplorano anche i lati oscuri, il
dolore, la strizzatina d’occhio, contraddizioni, lotte e vittorie. È un
ritratto autentico e potente di ciò che significa essere donna ‒ oggi ‒ in un
mondo implacabile, in continua evoluzione» concludendo soddisfatta e convinta
che questo «È un libro che pone domande. E non richiede risposte immediate».
L’altra potenzialità dell’opera è quella
di richiamare una serie di circostanze e archetipi dell’arte contemporanea in
cui l’elemento carta, in quanto materia scelta, diviene preminente. Dalla
tradizione del “libro d’artista”, esperimento personalissimo che contiene la
visione dell’Artista, ai più recenti e vari “attacchi d’arte”, veri e propri ready-made in cui la manualità si fa
incisiva da coniugarsi con maquillage artistici che chiamano a riflettere. La
predilezione per la carta delle nostre si configura come leitmotiv e isotopia
fondamentale della narrazione del proprio intimo in concordanza con una
sinergia tanto concettuale che materica. Viene da pensare, nel gioco tra
grafia, materia, disposizione del testo sul foglio, scelte tipografiche, spazi
inespressi e silenzi più o meno ampliati, anche alla stagione della poesia
visiva (o visual poetry) che nella
letteratura esordì con i Calligrammi
di Apollinaire e, nel nostro Paese, con le proposte di Govoni e Palazzeschi,
tra le altre.
Rilevanti, nei componimenti poetici
della Porta, risultano essere elementi che richiamano la tradizione orientale,
dal kigo o elemento stagionale
immancabile nell’haiku classico, alla filosofia del kintsugi vale a dire della ricostruzione coscienziosa di quel che
si è rotto. Cicatrice e ricucitura, ha forma nell’idea di bellezza insita
nell’imperfezione. Resilienza, permeabilità, rinascita e crescita personale che
ritroviamo anche in un suo haiku: «La poesia
traduce le ansie, / le ferite e le lacerazioni. / Libera la voce del cuore».
L’inflorescenza della rinascita, rappresentata dal sakura (bocciolo di ciliegio), si ritrova nell’arditezza creativa
della Scocozza che, con la carta, riproduce petali ed elementi floreali.
In vari testi qui raccolti l’Autrice
Floriana Porta riflette sul senso atavico e presente della poesia che lei
descrive in questi termini: «La poesia è la
mia voce, / la mia forza e la mia debolezza. / È un’armatura / dalla quale non provo neanche a
liberarmi».
I “vestimenti poetici” della Scocozza
comprendono lingerie, corpi d’abito, calzature, gioielli, altri ornamenti
caratterizzati da filamenti, orditi e ricami e oggetti d’accompagnamento in un
repertorio ampio e di chiaro genio artistico dove troviamo pure un alveare di
carta. Lo spazio infinitesimamente ridotto delle sue perfette celle richiama
l’idea di scambio e di passaggio, di un transfert
continuo tra dentro e fuori, ma anche di cooperazione e sostegno sociale per la
costruzione di un progetto corale. I gioielli della Scocozza hanno un pregiato
gusto che rimonta al Liberty mentre le maschere (tra cui “Divina indifferenza”,
opera del 2021) sono calchi di forte espressività di grande resa dei caratteri
impressi. L’accensione emotiva e posturale degli elementi facciali accentua le
intenzioni e le ansie, anticipa un discorso che è è dato da intuire al fruitore.
Siamo
fatte di carta
non è solo un libro ma una vera opera concettuale, che va fruita e apprezzata
per il suo genio e per la felice sinergia delle due autrici. «Ho imparato ad avere nuovi occhi / capaci di
stupirsi, di lasciarsi urtare / e colpire dalla bellezza» recita Floriana
Porta in un suo componimento e, dopo tutto, è quel che la poetessa riesce a
fare con questo volume: fa sì che l’opera – che è bellezza – ci colpisca. Dal
contatto con essa non rimarremo impassibili.
LORENZO SPURIO
*
Le autrici
Floriana
Porta
(Torino, 1975), vive a Vinovo (TO). Scrive, compone e dipinge sin da
giovanissima. Il suo stile poetico è vicino all’ermetismo, ben lontano da forme
retoriche e sentimentaliste, e si caratterizza per contemplazione e armonia.
Esperta di poesia giapponese, in particolare di haiku, baishù e tanka, forme poetiche particolarmente
legate all’ambiente naturale. Ha fatto parte per vari anni della giuria del
Concorso Internazionale di Haiku di Cascina Macondo. Ha pubblicato numerosi
libri, e-book e plaquette di poesia ed è presente in molte antologie poetiche.
Queste le sue pubblicazioni: Verso altri
cieli (2013), Quando sorride il mare
(2014), Dove si posa il bianco
(2014), L’acqua non parla (2015) Fin dentro il mattino (2014), La mia non è poesia (2017), I nomi delle
cose (2017), In un batter d’ali
(2018), Offro respiro ai versi
(2018), Il Giappone in controluce (2020) L’infinito
è in me (2021) e Siamo fatte di carta
(2024), quest’ultimo a quattro mani con Anna Maria Scocozza. Hanno scritto
della sua poesia numerosi critici ed esperti di poesia e letteratura tra i
quali Antonio Spagnuolo, Lucio Zinna, Viviane Ciampi, Pier Luigi Coda, Fortuna
della Porta, Ilaria Guidantoni, Andrea Galgano, Luciano Somma, Rosa Elisa
Giangoia, Giuseppe Conte, Camilla Ziglia e molti altri. Come artista si
riconosce allieva di Fernando Bibollet, Antonio Carena e Nino Aimone – tre
grandi pittori piemontesi – e ha esposto nel Torinese e nell’Astigiano le sue
opere ad acquerello e le sue fotografie. Collabora con riviste, cura il blog
“Le cetre dei poeti”, fa parte di giurie di premi letterari ed è la fondatrice
del gruppo poetico “Vinovo in poesia” con il quale organizza, dal 2017, presso
la biblioteca civica vinovese, incontri culturali e letterari. Tra le altre sue
passioni figurano la paleontologia e la fotografia.
Anna Maria Scocozza (Roma, 1965),
dove vive e lavora. Diplomata in Costume e Moda, ha frequentato, presso
l’Accademia di Belle Arti di Roma, la Scuola libera del nudo e molti corsi di
specializzazione di pittura e decorazione. Ha condotto numerosi
laboratori/workshop artistico-creativi e corsi di tecniche pittoriche presso
musei, scuole e centri di aggregazione giovanile per adolescenti, adulti e
bambini. Negli ultimi anni la sua ricerca artistica si è focalizzata sulla
realizzazione del suo “Guardaroba poetico”, e precedentemente sull’acquarello e
sui libri d’artista. La sua è un’arte non solo estetica, ma anche etica, tenta
di spingere lo spettatore a interrogarsi non soltanto verso tematiche sociali
che riguardano soprattutto le donne vittime di violenza. Costruisce le sue
opere “Indumenti poetici” con ciò che viene rifiutato, inutilizzato: vecchi
libri riciclati, destrutturati e ricreati, talvolta filati, a formare una
stoffa di carta, che utilizza come metafora poetica, visioni da indossare per
descrivere la realtà, anche quella più dolorosa; simboli visivi, archetipi
umani, che ci accompagnano nel nostro difficile viaggio terreno e spirituale.
Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia e all’estero
e le sue opere si trovano presso Musei, Fondazioni e Collezioni italiane e
straniere. Tra le partecipazioni più recenti figurano la mostra “Siamo fatte di
carta” al Museo Hendrik Cristian Andersen a Roma (2024) e la Triennale
Internazionale du papier Musèe Charmey in Svizzera.
[1] Il titolo del volume è tratto da
alcuni versi di una poesia della Porta dove si legge: «Siamo fatte di carta, / di storie perse nel tempo, / di alberi capaci
di sognare, / di narrazioni e di traguardi».