Intervista
ad Emanuele
Marcuccio
Autore
di Per
una strada
SBC
Edizioni, 2009;
Photocity
Edizioni, 2012;
a cura di Lorenzo Spurio
LS: Come
dobbiamo interpretare il titolo del tuo primo libro, Per una strada?
EM: Questo
titolo ha un’origine davvero curiosa, ogni volta che lo racconto, sembra un
aneddoto, e invece è tutto vero. Era il novembre del 1998 quando scrissi
l’omonima poesia, “Per una strada”, mi trovavo per strada, era un pomeriggio e
il tempo preannunciava un temporale, d’improvviso mi raggiunge l’ispirazione e
io, avendo come unico foglio di carta su cui appuntarla solo il retro di uno
spiegazzato scontrino della spesa, la appunto proprio lì:
Per una strada
Per una strada senza fronde
si aggira furtivo e svelto
il nostro inconscio senso,
passa e non si ferma,
continua ad andar via
e non si sa dove mai sia.
Quanto mi
sembrarono quasi insignificanti quei versi, la misi da parte, sfuggiva anche a
me il suo significato profondo, in seguito capii che, quell’apparentemente
semplice poesia nascondeva in sé l’essenza della mia stessa ispirazione,
perché, la mia ispirazione è furtiva e svelta, passa e vola via e, se non
l’afferro e la trattengo nel mio cuore con i versi che metto sulla carta, passa
e vola via e nessuno sa più dove mai sia. Cito un passo della mia introduzione
alla poesia, recentemente edita in appendice al mio secondo libro Pensieri
minimi e massime: «[…] affinché la poesia sia vera e sincera deve esserci
questa scintilla iniziale, dopodiché possiamo scrivere di getto, in maniera
spontanea o, fare un lavoro di lima ricercando la rima più adatta o la parola,
o il suono e starci tutto il tempo che ci sarà necessario. In caso contrario,
diventerebbe solo qualcosa di artificioso che non è espressione del proprio
sentire».
Poi, ho
intitolato la mia raccolta Per una strada, proprio perché l’ispirazione,
furtiva e svelta, mi ha raggiunto, la maggior parte delle volte, proprio per
strada: camminando, sull’autobus, etc.
E perché
proprio quell’articolo indeterminativo?
Avrei potuto
toglierlo e intitolarla semplicemente “Per strada”. Quell’articolo rappresenta
la semplicità, l’indeterminatezza, il poter trovare la poesia in tutto, anche
nelle cose più semplici e quotidiane, poiché, a mio avviso, una sola è la
strada che ci porterà alla poesia e alla sua voce più profonda, quella della
spontaneità e della semplicità. Citando un mio aforisma, sempre dal succitato
libro, “Ritroviamo e ricerchiamo sempre l’obliato proprio sé fanciullo,
perché, solo con gli occhi dell’anima di un bambino si può davvero essere
se stessi e volare alto, anche se camminiamo per una strada spesso irta di
ostacoli, problemi e preoccupazioni”. E questo vuole la poesia, uno sguardo
semplice ma attento, molto attento e sempre pieno di stupore e di meraviglia.
Infine, c’è
un’ultima motivazione o, forse si tratta della motivazione ultima?
Proprio per
la presenza di quel “senza fronde” nella poesia “Per una strada”, che ha un
significato proprio e metaforico al contempo; con quel “senza fronde” ho
cercato di riassumere il sentimento di straniamento e di smarrimento dell’uomo
contemporaneo, che si ritrova privo di valori e di qualcosa in cui credere,
simile a un albero in autunno, spogliato delle sue foglie. Sorge quindi il
bisogno di aggrapparsi a qualcosa o a Qualcuno in cui credere, prima che anche
le radici vengano strappate via dalla tempesta dell’inverno.
LS: Un
autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un
riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto.
C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il
recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché
risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di
autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo
semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?
EM: Ma io
non lo nego, anzi, in ogni mia poesia si può rintracciare un riferimento
autobiografico, anche minimo, anche nella più insospettabile, la scrittura in
fondo è trasfigurazione di quel caos del proprio vissuto. E la letteratura può
essere un modo semplice ed efficace per narrare storie di se stessi e degli
altri, pensiamo ad esempio al famoso racconto “La metamorfosi” di Franz Kafka,
il segreto è trasfigurare bene il tutto. Scrive, infatti, Marcel Proust nella Rechérche:
«Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è
soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per
permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in
se stesso». E, citando anche un mio aforisma, sempre dal secondo libro,
“Scriviamo di una realtà come trasfigurata e, nel contempo, cerchiamo di
porgere al lettore una speciale lente d’ingrandimento, che trasfiguri e
ingrandisca allo stesso tempo”.
LS: Quali sono
i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e
straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?
EM: Il mio
genere letterario preferito è sicuramente la poesia, soprattutto come
scrittura, gli altri generi preferisco leggerli. La poesia è la più profonda
forma di comunicazione verbale mai creata dall’uomo per esprimere i più
reconditi sentimenti umani, le più profonde emozioni; la poesia riesce a
emozionare, etimologicamente parlando, riesce a portare allo scoperto (l’anima),
parafrasando la mia poesia “Sé e gli altri” da Per una strada, riesce a
portare allo scoperto “l’obliato proprio sé fanciullo”. La poesia riesce
a far conoscere se stessi, riesce ad interrogarci, riesce a farci riflettere,
riesce ad emozionarci, riesce a rendere l’ordinario straordinario e, in qualche
maniera, anche a migliorarci, a renderci più sensibili nei confronti degli
altri.
Leopardi è
il mio poeta preferito, per l’infinita e meravigliosa musicalità dei suoi
versi. Da lui ho appreso la musicalità e la fluidità del verso, senza fare uso
della rima; su più di centotrenta sono meno di cinque le poesie che ho scritto
interamente in rima. Quanto mi ha ispirato la musica dei suoi versi e,
“L’infinito” è la poesia che preferisco più di tutte, non solo per i suoi versi
infinitamente pieni di musicalità, ma, perché vedo questa poesia come un’oasi
di speranza lungo il deserto del suo pessimismo cosmico: «Così tra questa /
immensità s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare.».
Indubbiamente,
è il romanticismo la corrente letteraria che mi ha sempre affascinato di più,
per quel suo tendere all’infinito, all’assoluto e, il motivo si può ben capire
dalla concezione che io ho della poesia.
LS: So che
rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che di più
ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?
EM: Per i
motivi espressi in precedenza, l’opera poetica di Leopardi, appunto, la
raccolta Canti. Come prosa, I promessi sposi di Alessandro Manzoni,
proprio perché ho scritto anche una poesia, ispiratami dalla figura di Lucia
(scritta successivamente alla stesura di Per una strada), una poesia
molto introspettiva e che non ha nulla di celebrativo, come si potrebbe
immaginare. E soprattutto perché, durante la sua lettura, precisamente nel
corso del capitolo XXIV, mi sono commosso fino alle lacrime, cosa mai
capitatami leggendo un libro, di solito è più facile commuoversi con un film.
Un
capolavoro, una delle più grandi creazioni della letteratura universale e,
senza dubbio, il più grande romanzo della letteratura italiana.
LS: Quali
autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami
di più?
EM: Sono
tanti gli autori, soprattutto i poeti, che hanno contribuito a formare il mio
stile. Ho iniziato a scrivere poesie nel 1990 e, all’inizio sono stato molto
influenzato principalmente da Foscolo, Leopardi e gli stilnovisti, avevo
bisogno di modelli da cui partire, queste influenze sono però riconducibili ai
vocaboli utilizzati, non all’imitazione del loro stile. I miei poeti preferiti
sono: Leopardi, sopratutti, poi Pascoli, soprattutto per la poetica del fanciullino,
il fanciullo che c’è in ognuno di noi, e Montale, perché la sua poesia mi
affascina e conquista ad ogni rilettura, quasi in una vertigine per i suoi
abissi di profondità. Poi, sono rimasto affascinato dalle poesie di Federico
Garcia Lorca, lette soltanto nella sua traduzione italiana, a questo proposito,
nel ’96, dopo averne letto un’ampia antologia, tra il ’97 e il 2000 scrissi
quattro omaggi a Garcia Lorca, in cui ho cercato di imitarne in maniera
personale lo stile, e si possono leggere in Per una strada.
LS: Ho visto
nella tua nota bibliografica che hai recentemente pubblicato una silloge di
aforismi. Quale pensi sia o dovrebbe essere la funzione di un aforisma nella
società d’oggi? Perché hai impiegato questo mezzo espressivo?
EM: Sì, si
tratta del mio secondo libro Pensieri minimi e massime, una raccolta di
ottantotto aforismi e pensieri vari, edita con Photocity Edizioni, scritti dal
1991 al 2012 (per la precisione c’è stata un’interruzione dal 2000 al 2008
ca.). Quarantotto dei quali hanno per tema la poesia e, con un’appendice, una
mia introduzione alla poesia.
Allora,
perché, oltre a scrivere poesie, scrivo anche aforismi?
Ti rispondo
con un aforisma scritto successivamente alla stesura di questo secondo libro:
«L’aforisma è la sintetica risposta della prosa alla poesia». Ecco cos’è per me
un aforisma, la prosa non è nelle mie corde di scrittura, preferisco leggerla,
e l’anima dell’aforisma è la sintesi, così come lo è per la poesia ma in modi e
caratteristiche differenti. L’aforisma induce alla riflessione e
all’interrogarsi, ecco quale dovrebbe essere la funzione di un aforisma
oggigiorno, infatti, i miei aforismi non prediligono la battuta di spirito o il
semplice gusto per il calembour.
LS:
Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che
cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?
EM: No, non
ho mai scritto a quattro mani, ma non escludo a priori una mia esperienza
futura di questo tipo di scrittura nel campo poetico.
LS: A che
tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?
EM: Certo,
non ai lettori che prediligono un certo tipo di poesia, in cui “amore” fa sempre
rima con “cuore” ed altre superficialità simili, ma a chi ama la letteratura,
soprattutto i classici e, citando dalla recensione curata dal poeta e critico
letterario, Nazario
Pardini, “[…] il Nostro affronta gli aspetti più disparati della realtà:
quelli emotivo-esistenziali, quelli artistici, quelli civili. E con energia
linguistica, con innovazione verbale, con l’uso anche di un lessico arcaico in
particolari nessi letterari, esonda tutto se stesso”. La poesia amorosa c’è in Per
una strada (in numero minore) ma non certo quella della citata rima.
LS: Cosa
pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato con la
casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?
EM: Non
molto bene, l’unica cosa positiva che ho notato è che il libro è abbastanza
distribuito nella librerie on-line, da quest’anno e, a distanza di quasi
tre anni dalla pubblicazione, Per una strada è disponibile anche su “amazon.it”.
Penso che
sono ben poche le case editrici che promuovono i nuovi autori (precisamente
quelli che non sono raccomandati dal politico di turno), sono perlopiù piccole
case editrici e sconosciute al grande pubblico. Io dal 2010 faccio anche il
curatore editoriale, non certo di SBC Edizioni, ho curato prefazioni a sillogi
poetiche curando la pubblicazione di tre raccolte di poesie, la casa editrice è
una di quelle medio-piccole, ma molto attenta nei confronti dei nuovi autori,
dotati di talento.
LS: Pensi
che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti
per la formazione dello scrittore contemporaneo?
EM: Posso
parlare secondo la mia esperienza di scrittura di poesie, iniziata nel 1990,
penso che poeta non si diventi ma si nasca, quello del poeta non è un mestiere
e non si può quindi apprendere in nessun corso di scrittura, la poesia è una
passione che si scopre e si coltiva sempre più nel corso degli anni. Un corso
di scrittura poetica dovrebbe avere la funzione di mettere in discussione e di
confrontarsi direttamente con altri poeti, ma non potrà mai insegnare a
scrivere poesie partendo da zero. I corsi di scrittura creativa devono essere
considerati dei laboratori per chi già scrive e non per chi vorrebbe farlo.
I premi
letterari e concorsi, se organizzati in maniera onesta, come ho avuto modo
recentemente di “toccare con mano”, grazie alla mia prima esperienza di membro
di giuria, possono contribuire a dare una certa fama presso i critici, ma
non sono una bacchetta magica presso i lettori, in alcuni casi, neanche il
Nobel per la letteratura lo è.
LS: Quanto è
importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?
EM: Per me è
molto importante il confronto con altri autori, specialmente quando trovo dei
punti di contatto con il mio modo di scrivere e di poetare al punto che,
citando un mio aforisma, sempre da Pensieri minimi e massime, “Tra
poeti, scrittori, drammaturghi, artisti in genere, è bene che si instauri un
rapporto di rispetto e di stima reciproca, mai di concorrenza e senza nessuna
presunzione di possedere la verità, purtroppo, oggigiorno è quasi un’utopia.”.
LS: Il
processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi
autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate
precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe
immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far
pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia
nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria
prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente
intertestuale caratteristica del testo letterario?
EM: Come ho
detto prima, all’inizio del mio percorso poetico sono stato molto influenzato
dai grandi poeti del passato, avevo bisogno di modelli da cui partire. Faccio
alcuni esempi da Per una strada: nella giovanile poesia “Il viandante”,
del 1990, al verso “E come odo stormir le fronde,” possiamo notare una
reminiscenza di un passaggio de “L’infinito” di Leopardi, precisamente, “E come
il vento/ odo stormir tra queste piante,”, poi, in un’altra poesia giovanile,
il titolo è proprio “Poesia”, del 1991, alla chiusa, si può notare un mio
tentativo di imitazione della meravigliosa chiusa de “L’infinito”, quella meraviglia
immensa di “Così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar
m’è dolce in questo mare.”, che io maldestramente ho tentato di imitarne il
suono con “Così, tra questi versi immensi/ gioisce l’animo mio,/ e l’ondeggiar/
mi molce e m’accarezza”. Andando avanti, nel 1994 scrivo “Amor”, scritta in due
giorni, mentre mi preparavo agli esami di maturità classica e vocaboli
danteschi frullavano impazziti nella mia testa, bisognava farli uscire, come
per un bisogno fisiologico. Scritta interamente in rima libera, e non si tratta
certo di rima baciata, ma di un tipo particolare di rima, la rima incatenata o terza
rima, in cui il primo verso rima con il terzo della prima terzina e il secondo
verso rima con il primo della seconda terzina e così di seguito, come gli
anelli di una catena e il linguaggio che ho utilizzato è quello dell’italiano
antico, precisamente il volgare trecentesco di ascendenza stilnovista.
Come si può
immaginare, la rivisitazione classica è una componente abbastanza presente
nella mia produzione poetica, specialmente fino al 1996 ca., poi, è andata
sempre più scemando, fino a ripresentarsi inaspettatamente nel 2006 in “Dolcemente
i suoi capelli…”, un mio modesto omaggio alla grande stagione della poesia
italiana dei tempi passati, scritta interamente in rima, ispirandomi allo
sfuggente viso di una ragazza che, dolcemente giocava con i suoi capelli,
facendone anelli con le dita, alla fermata dell’autobus ed io ero sul bus.
LS: Ho
recentemente avuto il piacere di curare la prefazione al tuo poema
epico-drammatico ambientato in Islanda, un lavoro lungo e faticoso che,
tuttora, non hai concluso. Puoi raccontarci come è nata l’idea di adoperarti
con un genere letterario così complicato? A che tipo di lettori si rivolge
questo testo?
EM: Sì, una
magnifica prefazione, grazie infinite!
L’idea è
nata dalla visione di una brochure ricca di meravigliosi paesaggi
dell’Islanda, una brochure turistica inglese regalatami nel 1989 e che
conservo gelosamente. Mi sono documentato su questo paese e ho letto
l’interessante racconto ottocentesco Viaggio nell’interno dell’Islanda di
Natale Nogaret. Ovviamente, c’è anche il desiderio di visitare l’Islanda, è un
sogno che ancora non ho potuto realizzare ma, chi m’impedisce di farlo con un
mio scritto?
Narrando una
storia, servendomi dell’amata poesia, infatti, il dramma è in versi, davvero
arduo e impegnativo e lungo quasi un ventennio, proprio perché c’è stata
un’interruzione dal 2001 al 2005. Sono quasi al termine della scrittura del
quinto e ultimo atto e un amico compositore dal 2010 sta scrivendo le musiche
di scena per questo poema, musiche di scena in
senso proprio, non un’opera lirica.
Ma perché
proprio un dramma in versi?
La poesia fa
parte del mio essere, la prosa, come ho già detto, non è nelle mie corde
(preferisco leggerla), non riuscirei mai a scrivere un racconto, né un romanzo,
ecco perché ho scelto il teatro e un dramma in versi per cercare di esprimere
la mia vena narrativa e, al contempo, continuare a cercare di esprimere la
poesia che il cuore mi detta.
Con tutto il
rispetto, la narrativa e la prosa in genere preferisco leggerla e non
scriverla, però, anche in questa possiamo trovare della poesia. La poesia,
nella sua accezione più ampia, non è solo quella legata ai versi ma, alla
prosa, alla musica e all’arte in genere. Quanta poesia possiamo scorgere ad
esempio ne I promessi sposi di Manzoni o, quanta in una canzone di
Battisti, come “I giardini di marzo” o, quanta in un’Opera di Puccini, o in un
notturno di Chopin! O quanta poesia possiamo trovare ad esempio nella
“Gioconda” di Leonardo o nella “Pietà” di Michelangelo!
Con la
scrittura di questo dramma ho cercato di fondere le due cose in un tutt’uno, ho
cercato di scrivere una storia servendomi dell’amata poesia e del teatro e, il
teatro, si presta molto a questo genere di connubi, solo così potevo esprimere
la mia vena narrativa. Non a caso ho inserito una voce narrante (fuori scena)
che, ogni tanto si fa sentire nel corso del poema, questa voce fuori scena
rappresenta l’io narrante del poeta, sulla scorta dei grandi poemi epici non ho
potuto proprio farne a meno, infatti, il dramma è di argomento
storico-fantastico, con alcuni riferimenti all’epica germanica.
Come scrivo
in un mio aforisma di Pensieri minimi e massime, “Un poeta non deve mai
lasciarsi condizionare dal marketing, dal consumismo o dalle mode del tempo, la
sua ispirazione non sarebbe più spontanea e sincera, deve bensì lasciar parlare
la propria anima, senza alcun condizionamento.”. Quindi, nessuno può dirmi di
scrivere un romanzo, perché, così ci sarebbero più lettori ma, mancherebbe la
cosa più importante: l’ispirazione.
In fondo, la
mia risposta al genere del romanzo è questo dramma epico, certamente di gran
lunga più impegnativo ma, per me l’unica possibile. E certamente i lettori di
quest’opera dovranno essere dei grandi amanti della letteratura, di miti e di
leggende.
LS:
Recentemente hai pubblicato una raccolta di aforismi dove, con molto piacere,
hai inserito una mia nota critica a mo’ di postfazione. Uno dei temi principali
di questi aforismi è proprio la poesia, come mai? Dall’altra parte ho trovato
degli aforismi a tematica sociale, “impegnati”, se vogliamo. Come possono
convivere in una unica raccolta due ambiti tra loro tanto distanti: la
letteratura e lo spirito lirico e la società con i suoi problemi e i suoi
drammi?
EM: Come
mai?
Non poteva
essere altrimenti che la maggior parte di questi aforismi (quarantotto degli
ottantotto) abbiano per tema la poesia, dal momento che scrivo poesie, mi sono
molto interrogato sul senso della poesia e dell’essere poeta scrivendo questi
aforismi. Sono stato ben felice di far inserire la tua ottima postfazione e,
quanto al politematismo, non c’è da stupirsi, anche Per una strada è una
raccolta politematica, non amo il monotematismo, del resto, anche la vita è
politematica o, quantomeno, facciamo di tutto affinché lo sia.
Del resto,
sforzandoci di fare letteratura cerchiamo di dare voce ai sogni dell’umanità,
ai suoi dolori e alle sue speranze e, citando Cesare Pavese “La letteratura
è una difesa contro le offese della vita”. La mia aspirazione più grande,
infatti, è fare letteratura con i miei scritti, e la letteratura non è mai
monotematica.
Grazie
Lorenzo per aver letto e attentamente recensito il mio Per una strada e
per la proposta di questa intervista!
Intervista a cura di Lorenzo Spurio
scrittore, critico-recensionista
E’
SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO
INTEGRALE E/O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.