venerdì 30 agosto 2013

"La cucina arancione" di Lorenzo Spurio, recensione di Ilaria Celestini


Recensione a “La cucina arancione” di Lorenzo Spurio

 (TraccePer LaMeta Edizioni 2013)

 

di Ilaria Celestini

La cucina arancione è una raccolta di venticinque racconti di Lorenzo Spurio, giovane e valente scrittore marchigiano, che a soli ventotto anni possiede un nutrito curriculum letterario: critico letterario e recensionista, saggista e autore di monografie sulla letteratura inglese, direttore della rivista Euterpe, curatore del sito BlogLetteratura e Cultura, collaboratore autorevole di numerose riviste di settore, membro di giuria di prestigiosi concorsi di poesia e narrativa.

Colpisce, nella raccolta qui considerata, in primo luogo la capacità matura di analisi e di osservazione degli aspetti umani che solitamente la personalità razionale e integrata, che nel linguaggio comune si suole definire 'normale', mette a tacere e nasconde, come la polvere che si occulta sotto il tappeto.

Queste brevi storie, con grande coraggio, portano alla luce il nascosto, il sommerso, che è nei protagonisti e in fondo, potenzialmente, dentro ciascuno di noi.

E' un libro coraggioso, soprattutto nell'uso linguistico di espressioni forti e di descrizioni che nulla concedono alla retorica e al moralismo; un affresco della società contemporanea con le relative alienazioni, in cui il senso della sacralità della vita, dell'amore e della persona è assente, in maniera assoluta.

E là dove questa o qualsiasi altra pregnanza di significato non c'è, l'umanità viene meno, e lascia il posto a emblemi, come forse lo stesso Autore sembra suggerire nell'Introduzione, in cui dichiara di non aver voluto rappresentare 'persone', ma 'personaggi'.

Nelle pagine di questo testo, infatti, troviamo una interessante galleria di 'non-persone', di tipi umani e di simboli, di archetipi in senso junghiano.

Nella desolazione urbana fatta di palazzi fatiscenti nei quartieri degradati, così come negli interni borghesi, dove convivono agiatezze materiali e solitudini morali, si svolgono, a opera di questi personaggi-stereotipi, emblemi dell'assenza di senso, episodi di pulsioni ossessive e inconfessabili, agiti compulsivi, sessualità degradata a livello di perversione; sono ambienti dove tutto ciò che non dovrebbe neppure essere pensato, in una logica di tipo comune, o benpensante, e dove tutto quello che non dovrebbe accadere, accade.

E così il padre di famiglia, uomo ormai maturo, si ritrova a pensare con nostalgia, intrisa di ossessioni onanistiche, alla libertà degli anni giovanili, in cui poteva stare per ore o addirittura giornate intere con se stesso, per regalarsi indicibili piaceri solitari (Con la chitarra in mano).

Analogamente, i piccoli teppisti in erba, non paghi di seviziare innocenti animali, vagheggiano di provocare una sciagura stradale e fantasticano sul godimento che procurerà loro un simile spettacolo, per poi restare annichiliti di fronte alla realtà di quanto accade veramente (Signor Johnny).

O anche, un'inappuntabile madre di famiglia, fa incetta di frutti che non consuma e che lascia a marcire, ritenendo che le tengano compagnia (Al negozio cinese), mentre un giovane, chiaramente identificabile come il tipico tranquillo ragazzo della porta accanto, ama cibarsi compulsivamente di briciole d'intonaco raschiato dai muri e terriccio (Il muro scrostato).

In questo mondo dove l'umano è degradato al ferino, l'altro diviene cosa, oggetto; e nella reificazione della persona, il rapporto di coppia è un becero incontro di due solitudini, come nel racconto che offre il titolo al libro, in cui lo scambio affettivo tra i due protagonisti è ridotto al mero livello coitale, con connotazioni masochistiche e sadiche che si alternano, in un crescendo che culmina nel finale grottesco.

E' un affresco, questo libro, che illustra una dimensione di regressione primordiale, di istinti che emergono prepotentemente sino a esplodere, come nel caso del figlio di un genitore mutilato sul lavoro e schiacciato dalla vita, ma anche dal cinismo di chi avrebbe dovuto aiutarlo, che si erge a giustiziere lucido e inesorabile (Questioni di uguaglianza); oppure, la passione si trasforma in una rabbia silente e furiosa, che cova nel tempo come fuoco sotto la cenere, per cui la casalinga di mezza età, frustrata e tradita dal marito, medita la propria vendetta sul consorte infartuato (Quelle conferenze); o anche, last but not least, l'entità individuale si frantuma sino a perdersi completamente, come nel caso del personaggio che non vuole uscire di casa, perché teme di perdere se stesso (L'ordigno inesploso).

Un libro che non si dimentica; sono pagine che suscitano emozioni forti, in cui è possibile cogliere almeno in nuce aspetti che giacciono dentro di noi e nel mondo che ci circonda.

Pagine che possono sgomentare, per la nitidezza delle descrizioni; in cui si coglie, sempre, l'abilità dello scrittore, che narra senza giudicare, senza indicare soluzioni facili o pietosi lieti finali.

I personaggi descritti sono casi patologici, alieni al contesto in cui vivono come a se stessi; e al tempo stesso sono così naturali, così immediati, nel loro agire d'impulso, senza remore, da riuscire a toccare estremamente in profondità le corde dell'anima del lettore, nella loro solitudine e totale incomunicabilità, condizione che è sì individuale e propria dei vari archetipi qui rappresentati, ma che è anche comune e generale, in senso esistenziale, e per questo affascina, come l'abisso che ci fa orrore, e nel contempo ci attrae, perché c'induce a guardare senza pudori o velami quel che è dentro di noi.

ILARIA CELESTINI

 

Brescia, 26 Agosto 2013

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