Il
valzer delle ombre al lume della lanterna
di Giuseppe Guddemi
con introduzione di Margherita Ingoglia
con prefazione di Orazio Labbate
Limina Mentis Editore, Villsanta (MB), 2011
Collana: Ardeur
ISBN: 978-88-95881-41-6
Numero di pagine: 45
Costo: 10 €
Recensione a cura di Lorenzo
Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore
Lentamente mi dileguo, vado via.
Non c’è spazio di pace dentro di me.
(“Noir”, p. 18)
Accediamo a questo libricino di
liriche in maniera soave, trovandoci catapultati di punto in bianco in un mondo
difficile da comprendere nella sua interezza. E’ evidente l’apporto di una componente
onirica che permette a Giuseppe Guddemi di spaziare tra i temi che sono
presenti nella silloge. Il tutto è reso ulteriormente piacevole da una serie di
immagini che corredano la silloge. In alcuni casi sono foto che richiamano la
lirica alla quale sono appaiate, come in “Naufrago” dove vediamo un mare dove
si disegnano cerchi concentrici segno, forse, che qualcosa è caduto nell’acqua,
in altri casi la relazione foto-testo la trovo più difficile da spiegare come
ad esempio in “Sulla soglia sdrucciolevole di un istante nichilista” dove nella
foto, che utilizza una scala monocromatica del blu, vediamo la parte bassa di
un volto di donna che tiene la mano –nella quale figura un crocefisso-
appoggiata al mento. Forse il
collegamento andrebbe visto in quelle “languide carezze […] si consacrano alle
ombre della notte” (p. 25).
La poesia di Guddemi non è di impianto
realista e, pur caratterizzandosi per una concreta materialità (c’è una
continua attenzione per i materiali), scivola via in ambiti più propriamente
intimistici quali l’esistenzialismo o addirittura l’ontologia, la ricerca sul
sé. Ma come ricorda Margherita Ingoglia nell’interessante introduzione al
libro, “la magia della poesia è guardare oltre il significato apparente della
parole” (p. 7). Ed è questo che Guddemi fa, in maniera spontanea, quasi
inconsapevole. Quello che potrebbe sembrare a una prima vista una meticolosa
ricerca delle parole, della strutturazione dei versi, quasi da sfiorare il rigorismo, in realtà è
espressione libera e irrazionale del poeta.
E’ un percorso interessante il suo nel quale
il lettore scopre pagina dopo pagina, suggestioni e considerazioni sempre
diverse. E’ una poesia imprevedibile e sfuggente, è una poesia “elettrica” per
la ricca aggettivizzazione, ma è anche una poesia cupa e critica.
Centrale
è nella silloge il tema della luce o del buio e nella poesia di apertura,
“Dissolvenze”, l’uomo è investito da una serie di atteggiamenti (inseguire,
dissolvere, sfuggire, raggiungere) che richiamano appunto i movimenti solari.
Fra i vari componimenti fanno capolino tematiche chiaramente autobiografiche
come il “ricordo crudele di lame affilate” (p.19), manifestazione di una
memoria difficile che ancora nel presente causa dolore, la continua ricerca di
un senso nel nostro vivere (“tenendo tra le mani/ punti vuoti di domanda”, p.
23), l’antinomia tra corporeo e incorporeo, tra reale e aldilà: “Dentro il mio
cono d’ombra persi la consistenza. Non ebbi corpo. Non ebbi nome” (p. 31),
l’atavico dilemma sul destino dell’uomo –sintomo, forse, della grande coscienza
della finitezza del genere umano e anche una paura della morte-: “E adesso che
il passato è già passato/ mi chiedo se domani sarà un giorno che è già stato/
mi chiedo se il cammino è stato preso/ o se dovrò percorrerlo all’indietro” (p.
35). Questi versi ci fanno pensare alle considerazioni di Sant’Agostino sul tempo,
il quale concludeva, dopo una lunga dissertazione filosofica, che esiste un
unico tempo: «Un fatto è ora limpido
e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre:
passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre:
presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre
specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il
presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il
presente del futuro l'attesa» (in Le
Confessioni, Libro XI).
La lirica che chiude la raccolta, la stessa
che dà il titolo al libro è pervasa di un gioco di fioche luci, “al lume della
lanterna” appunto imbevuta di un’atmosfera cupa e addirittura surreale in
quegli “orologi gotici sciolti” (p. 44) che tanto ricordano gli orologi
deformati di Salvador Dalí.
Chi è l’autore?
Giuseppe Guddemi è nato a Palermo nel 1986, città che rimarrà a lui
molto cara. Nel 2005 ha conseguito la maturità classica presso il Liceo
Sperimentale Statale “F. Crispi” di Ribera (AG). Durante il periodo liceale ha
partecipato al progetto scolastico “immaginario” (2005) che dà concretamente
avvio “all’avvincente ricerca di un sé qualunque come un viandante verso
l’oltre”, attraverso la scrittura. Tra le altre partecipazioni letterarie si
ricorda la pubblicazione della lirica “Nel sogno” nell’Antologia “Poesia
onirica” (2010), Estro-Verso Edizioni. Attualmente segue gli studi di Giurisprudenza
presso l’università Statale degli Studi di Palermo, ove vive.
scrittore, critico-recensionista
Collaboratore di Limina
Mentis Editore
09/08/2012
E’
SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO
INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.
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