“Serena e di stelle…”
(poesia di Emanuele
Marcuccio)
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
Giacomo Leopardi,
da «La sera del dì di festa»
Serena e di stelle
è la notte, di cielo
e di vento che sibila in me…
e pioggia e di vento nell’anima
che fischia
al tedio che l’avvolge
e volge indietro i giorni
di quei perduti dì
che mai
si volgeranno…
(16/3/2012)
“Serena e di stelle…”
Commento a cura di Luciano Domenighini
Questa lirica si potrebbe definire
un “idillio interiorizzato”, dove gli elementi della natura entrano ad abitare
l’animo del poeta. In questi pochi versi Marcuccio si abbandona totalmente
al gioco di cogliere e riprodurre intatte le frasi poetiche, così come gli
sgorgano dalla sorgente dell’ispirazione e di aggiogarle con libertà, facendo
assurgere lo zeugma e l’anacoluto a raffinati strumenti
espressivi. Tessuto connettivo, legante di questo poetare non sono più le
concordanze sintattiche o logico-concettuali, rese labili o addirittura
trasgredite senza rimpianto, ma il fluire spontaneo della musica dei versi e il
loro associarsi secondo forze misteriose. Interessante, da un punto di
vista metrico, scoprire la reale natura dei primi tre versi (senario,
settenario, novenario) che in realtà sono due separati dalla virgola, entrambi
specificanti del bel sintagma leopardiano “Serena è la notte” : un novenario
ellittico reso elegante dall’anastrofe, e un vigoroso endecasillabo tronco
sapientemente alleggerito dai punti di sospensione. Anche qui Marcuccio si
conferma maestro nell’escogitare, spontaneamente, inedite e complesse
architetture metriche.
“Serena e di stelle…”
Commento a cura di Cinzia Tianetti
Auspicativo: qualcuno l’ha vista “Dolce
e chiara” la notte “e senza vento”. La risposta è lì, in quei
pochi versi del grande poeta Giacomo Leopardi, con cui si apre «La sera del dì
di festa», riposto lì è l’incipit, che apre la nostra lirica: “Serena
e di stelle / è la notte, di cielo”. S’intravede un nuovo orizzonte per
l’anima e il cuore, in cui sarà senza vento la notte, e dolce. E quei giorni,
al tedio, che avvolge l’anima, volti indietro, a quei perduti dì, si
schiariranno al pacificarsi dell’anima “di quei perduti dì / che mai / si
volgeranno…”.Ma ecco le note che movimentano la poesia stessa nel loro far
intravedere l’ondosità della nostra stessa esistenza, del riposto segreto che
avvolge l’anima dell’uomo: quei dì perduti che troveremo nella melanconia, nel
dolcissimo amaro ricordo, nel tedio, che inteso in senso senecano, ci fa
filosofare sul perché “sono io e non un altro”, sul perché “proprio a me”,
mentre i fantasmi vivono la dimora di un passato che torna come l’onda alla
riva. Quei giorni non torneranno più, animando, così, il nostro stesso animo,
strappato all’impassibilità dello “stare”, mosso al cielo di stelle o di vento
o di pioggia, all’esistere e all’essere. Sicuri che la sera arriverà al giorno,
il sereno alla pioggia e al vento, e che il cielo sarà di nuovo stellato, ma
nella ciclicità del ritorno. Ed Emanuele, in questa lirica ci mostra che
l’alternarsi è il reale vissuto, l’alternarsi dei nostri sentimenti al sentire
dell’intimo nostro io.L’anima, ora cielo desiderante, obnubila, nei giorni
perduti, il suo stesso io perché sa che il tempo trascorre portandosi via un
cammino costruito in ciò che diventiamo, in ciò in cui volgeremo, aspettandoci
la serena notte che avvolge gli occhi e il cuore, rincuorandoci alla fine dei
giorni.Ecco il lascito di questi versi che leggo con gran lucidità, con il
medesimo contraddistinto segno malinconico, così tipico di questo autore,
legandoci col pensiero a quel filo che si annoda così bene sull’ultimo accento,
sull’ultimo suono di parola. Con questi versi ci mostra che il segreto del
vivere è riposto in una circolarità che non è mai banale o scontata ripetizione
ma annodata, salomonica[1] circolarità
psichica-emozionale: quindi, non una banale circolarità ma la circolarità che
può avere un “nodo”, un “annodamento” in cui tutto si risolve sì nell’unione
dei due capi ma non in maniera così “lineare” e facile. Un nodo che unisce e
contemporaneamente, vincola, esprimendo una circolarità senza soluzione di continuità,
intesa anche come l’unione e il vincolo dell’uomo con la sua dimensione
interiore, con la sua parte irrazionale e emotiva, in una visione in cui
nessuno stato d’animo è definitivo.
“Serena e di stelle…”
Ho avuto
l’occasione di leggere molti testi, alcuni anche in anteprima, prodotti dal
poeta palermitano Emanuele Maruccio, e di scriverne alcuni commenti, come una recensione
alla sua
prima silloge di poesia Per una strada (SBC Edizioni, Ravenna, 2009) o,
addirittura, curare la postfazione al suo libro di aforismi in via di
pubblicazione.
Marcuccio è
un poeta attento e delicato, molto produttivo, del quale sono a commentare questa
sua nuova produzione lirica. Come ho già avuto modo di osservare nella
recensione a Per una strada, e come rivela lo stesso poeta nella
prefazione della stessa silloge, la sua produzione è fortemente ispirata,
motivata e imbevuta dei temi e dei topos leopardiani (la sofferenza, la
malinconia, la solitudine, lo sguardo pessimista e cupo sulla società che
circonda l’uomo). “Serena e di stelle”, ritorna ai motivi del poeta recanatese
e il riferimento è ben evidente dai versi iniziali in esergo tratti appunto
dalla nota “La sera del dì di festa”.
La poesia di
Marcuccio, concisa e densa nei significati, si offre al lettore piacevolmente a
partire dall’estetica, dalla sua morfologia, che alterna versi lunghi a versi
molto più corti, costituiti da poche sillabe. I temi cari a Leopardi sono
ripresi e utilizzati tenendo ben presente questo prestigioso rimando letterario
e, come nell’ampia produzione poetica del Marcuccio, si riscontra un senso di
cupezza e nostalgia. La tranquillità e la beatitudine del cielo nelle ore
notturne contrasta con l’inquietudine e la desolazione dell’animo del poeta il
quale pure si deprime per la presa di coscienza del tempo beffardo che scorre e
che mai più ritorna, similmente alla concezione shakespeariana del tempo
contenuta nei famosi Sonetti.
È una poesia
che va letta tutta d’un fiato, e poi riletta e riconsiderata. Leopardi
fuoriesce da ogni singola parola, dalla cadenza, dalla struttura e dai temi. La
facoltà che Marcuccio ha è quella di far rivivere nella nostra contemporaneità
un’artista scomparso da tanti anni, riproponendolo a suo modo, e ricordando i
suoi pezzi più celebri.
Chi è l’autore?
EMANUELE
MARCUCCIO è nato a Palermo nel 1974.
Scrive poesie dal 1990, nell’agosto del 2000 sono state pubblicate sue
poesie, presso l’Editrice Nuovi Autori di Milano, nel volume antologico di
poesie e brevi racconti Spiragli ‘47. Partecipa a concorsi letterari di
poesia ottenendo buone attestazioni e la segnalazione delle sue opere in varie
antologie.
Nel
marzo 2009 è uscita la sua raccolta di poesie Per una strada, SBC
Edizioni, recensita da vari studiosi e critici tra cui Luciano Domenighini,
Alessandro D’Angelo, Lorenzo Spurio, Nazario Pardini e Marzia Carocci.
Una
sua poesia edita è stata pubblicata nell’agenda 2010 Le pagine del poeta.
Mario Luzi, da Editrice Pagine di Roma.
Nel
2010 ha accettato la proposta di collaborare con una casa editrice per la
scoperta di nuovi talenti poetici, tra giugno 2010 e luglio 2011 ha presentato
tre autori, riuscendo così a far pubblicare tre libri di poesie e, dal 2011 è
consigliere onorario del sito “poesiaevita.com”, che promuove anche una sezione
editoriale ospitante le collane di opere da lui curate.
Dal
1990 sta scrivendo un dramma epico ambientato al
tempo della colonizzazione dell'Islanda, di argomento storico-fantastico.
Ha
inoltre scritto vari aforismi, ottantotto dei quali sono stati raccolti nella
silloge Pensieri minimi e massime,
Photocity Edizioni, edita nel giugno 2012.
Ha
curato prefazioni a sillogi poetiche e varie interviste ad autori esordienti ed
emergenti su blog letterari. È collaboratore della rivista on-line di
letteratura Euterpe. È stato membro
di giuria nella prima edizione del concorso nazionale di poesia “L’arte in
versi” (2012).
È
presente su blog, siti e forum letterari, tra cui “Literary”, con una scheda
bio-bibliografica nell’Atlante letterario italiano. Ha in programma la
pubblicazione di una seconda silloge di poesie. (Agg. al luglio 2012)
POESIA E
COMMENTI PUBBLICATI PER GENTILE CONCESSIONE DEGLI AUTORI. E’ VIETATA LA
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[1] Il nodo di Salomone, simbolo
frequente nei pavimenti musivi dell’arte paleocristiana, esprime sia conflitto
che ricongiunzione, riappacificazione, tra il terreno e il celeste.
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