I
racconti poetici del lume della lampada
di Orazio Labbate
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2012
– Collana Ardeur
ISBN: 978-88-95881-27-0
Numero di pagine: 66
Costo: 10 €
Recensione a cura di Lorenzo
Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore
Con precisione infinita modelli l’illusione di
chi si dissolve nella materialità di un pezzo
di felicità, ma con imprecisione nullifichi la
tua superbia quando l’intelletto squarcia la
fragilità del non esistere.
(in “L’amore”, p. 19)
Non ho ben capito
quale sia il percorso che Orazio Labbate ci inviti a intraprendere attraverso la lettura di Racconti poetici del lume della lampada. Ho notato, infatti,
che non siamo in presenza di una poetica chiara e definita, ma che il poeta
cambia vesti poesia dopo poesia. Il titolo può trarre in inganno: non si tratta
di narrativa, non ci sono racconti. Ambigua e difficilmente comprensibile anche
l’accezione di “racconti poetici”: un testo o è una poesia o è un racconto. E’
vero che la letteratura ha dato chiara voce anche a esperimenti letterari “di
mezzo” tra l’uno e l’altro genere – il frammentismo di Clemente Rebora o la
prosa poetica di Dino Campana- ma è difficile poter inserire uno scrittore
contemporaneo in correnti come queste.
Condivido pienamente il messaggio contenuto
dall’autore nella sua introduzione nella quale si fa riferimento al fatto che
questa raccolta poetica è “malata” (p. 5). La malattia a detta di Orazio
Labbate si manifesterebbe nell’ampia sequela di componimenti visionari che
danno voce a mondi irreali, macabri e colmi di incubi. Aggiungerei che la
degenerazione (la malattia) è altresì riscontrabile nella forma o, piuttosto,
nella mancanza di forma delle liriche. Le parole –siano essi aggettivi, nomi o
verbi- si susseguono velocemente nei vari versi in maniera inconsueta, anomala.
Difficile individuare un senso di queste poesie ma credo che dietro l’intero
progetto ci sia proprio l’espressa volontà del poeta di “narrare poesie”
sconclusionate, disorganizzate, atematiche, ridondanti forse per dar
espressione alla componente onirica ed esistenzialista dell’essere. Il motivo
per quale lo fa però, non mi è chiaro.
Mi dispiace che scrivendo questa breve
recensione non abbia colto l’invito del poeta che nella prefazione dice
testualmente: “Invito solo coloro che si cimenteranno in/ un’interpretazione a
non interpretare” (p. 7). E’ impossibile leggere un libro –qualsiasi tipo di libro-
senza interpretarlo. La nostra interpretazione può avvenire mentalmente, può
esser messa per iscritto o no, ma ad ogni modo la lettura di ciascun testo ci
permette di ragionare su qualcosa, di capire meglio una realtà, di affrontarla
da un’altra prospettiva o ci dà appunto la possibilità di interpretarla. Trovo
che le poesie qui contenute possono essere interpretare in infinite maniere
dato che non ne ravviso dei fili conduttori, delle tematiche centrali, dei
punti di partenza chiari.
Credo che i lettori quotidiani si siano ormai
abbastanza stancati di testi pieni di controsensi, voli pindarici senza meta,
nonsense, costruzioni articolate prive di senso o impiegate solo per crear
stridore nel lettore. Il lettore, che legge tutto con attenzione e formula una
sua interpretazione, positiva o negativa che sia, è tutt’altro che “malato” e,
nella maggior parte dei casi, è sempre più lucido e “sano” dello scrittore
stesso. Invito coloro che hanno intenzione di leggere questo libro, a cavarne
una propria lettura. Questo, in fondo, è il senso della letteratura –high o low
che sia- e della condivisione d’idee attraverso lo scritto.
Questa è la mia interpretazione.
scrittore, critico-recensionista
Collaboratore di Limina
Mentis Editore
10/08/2012
Chi è
l’autore?
Orazio Labbate è nato a Mazzarino (CL) nel 1985 ma ha vissuto a
Butera (CL) sin dall’infanzia. Ha conseguito la maturità con il massimo dei
voti presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e la laurea in Scienze Giuridiche
presso l’università Bocconi di Milano. I suoi “profondi maestri notturni e
letterati” sono W.S. Burroughs, Umberto Eco, Jack London, José Saramago, Gogol,
Bukowski, Baudelaire, Lovecraft e molti altri. La sua poetica non è ascrivibile
ad una corrente precisa o a un genere catalogabile, lui suole definirla “malata
e affetta da cancro notturno”. E’ pervasa da una sorta di costante apprensione
simile all’indefinibile sensazione di chi non distingue la veglia dall’incubo.
E’
SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO
INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.
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