Paradiso riassunto
di Eliza Macadan
con prefazione
di Marco Conti
Edizioni Joker,
Novi Ligure (AL), 2012
ISBN:
9788875363024
Numero di
pagine: 64
Costo: 10,50 €
Recensione a
cura di Lorenzo Spurio
La mia vecchiaia
aspetta nello specchio
una mattina
rimarrò
con l’amore (p. 35)
Il libro si apre
con una scheda critica ben congegnata e particolarmente pertinente al contenuto
della silloge nella quale il prefatore, Marco Conti, va individuando la
concretezza delle immagini che la poetessa mette in scena e la loro validità
come riflesso del quotidiano. Le liriche presenti nel testo sono tutte molto
brevi e il linguaggio utilizzato, scarno e condensato, ci immette direttamente
all’interno della materia che la poetessa tratta. Potremmo stare ad analizzare
e a disquisire ore intere su ciascuna poesia, ad esempio in quella che apre la
raccolta leggiamo: “ogni giorno/ premo il pedale/ del perdere o vincere/ per
sapere/ dove mi trovo/ la mia identità di plastica/ arriva con un treno/ di
notte” (p. 11). La poetica semplice e contemporanea, quasi di marca gozzoniana,
descrive le piccole cose che la circonda, sviscerando però anche i suoi
pensieri, le sue considerazioni. L’identità della poetessa –sempre alla ricerca
di un “perdere o vincere”, ossia di una decisione finale ben definita, è “di
plastica” cioè falsa, illusoria, sostitutiva e solo di notte, con il buio, la
tranquillità che infonde pace riesce a mostrarsi per quel che realmente è. Non
solo. Giunge “con un treno”, ossia velocemente, senza guardare ostacoli,
perentoriamente. In “Gli alberi” ritorna il tema dell’identità: niente di
definito e di chiaro, qualcosa di torbido e di indecifrabile: “stai girando/ da
tutte le parti/ i documenti d’identità/ dei morti” (p. 44).
In “La vita” la poetessa affronta il tema della
felicità e della difficoltà del suo raggiungimento, chiudendo la poesia con un
animo di esemplare fraternità verso persone indigenti: “tendo un biscotto/ a
una mendicante bosniaca” (p. 26). In alcune liriche Eliza Macadan non manca di
far riferimento a una sessualità individuale, una meta-sessualità priva di un
senso compiuto: pornografia, masturbazione, prostituzione che fornisce al
lettore un panorama si vivido e realistico pur nella sua tristezza.
In “Scrivi” è
enunciata la poetica di Eliza Macadan: non perdere momenti, idee, ispirazioni…
buttale giù per iscritto. Lettura e scrittura rappresentano per la poetessa due
attività centrali del suo esistere ed è lei stessa a sfatare una falsa credenza
che i poeti, superbi per il loro genio, non leggano i propri colleghi: “una
poetessa legge/ i versi di un’altra poetessa” (p. 50) segnale positivo e di
speranza: finché c’è gente che legge/ascolta/dialoga con altra gente, allora si
preserva il senso di comunità dal quale tutto nasce. In “In fondo all’Europa”
la poetessa si mostra un’attenta reporter di crimini di guerra, fautrice di una
poesia civile ed impegnata in difesa della memoria storica: “io continuo a
scrivere poesia/ come se nulla fosse successo” (p. 64). In “Qualsivoglia” è
contenuta, invece, una brevissima esortazione che fa seguito allo
scoraggiamento della poetessa di non essere ascoltata degnamente dal suo
interlocutore.
Non manca
neppure una velata denuncia sociale a quelli che sono i “meccanismi dell’oggi”
incentrati su logiche di mercato, sistemi di compra-vendita, rendite, affitti
ossia tutto basato sull’economia e il denaro, come ben si evince nella lirica
“Non c’è casa” dove, appunto, la casa (sinonimo di proprietà, sicurezza e
famiglia) è stata sostituita (a seguito di una crisi, di una decadenza,
intuiamo) da un affitto, termine che invece denota la dipendenza da qualcun
altro.
Un aspetto che
mi ha molto interessato della silloge in questione è l’attenzione della
poetessa per la parzialità della materia; si riferisce spesso a parti,
porzioni, componenti di un qualcosa – spesso di qualcosa non concreto,
utilizzando dunque in senso metaforico- come le “briciole di pensieri” (p. 20),
i “pezzi di incubo” (p. 15), un “pezzo di cielo” (p. 60). Tutto questo, in
effetti, trasmette un senso di residualità, di mancanza, d’incompletezza –di
tendenza, mi ripeto, gozzaniana e più ampiamente crepuscolare- che fa
concludere la poetessa in una lirica in questo modo: “il paradiso è rimasto
senza foglie/ e senza di noi” (p. 30). Per questo il paradiso non può esser
“raccontato” e reso in immagini che in maniera sommaria, imprecisa, parziale.
Il “riassunto” che Eliza Macadan ci fornisce è senz’altro degno e lodevole nel dar
voce a questa parzialità del tutto.
Chi è
l’autrice?
Eliza Macadan è nata a Bacau (Romania)
nel 1967 e risiede a Bucarest e a Roma. Ha esordito nel 1988 sulla rivista
mensile di cultura romena “Ateneu”. Bilingue fin dalla sua prima raccolta, Spatiu auster (Edizioni Plum, Bacau,
1994), Eliza Macadan ha scritto e pubblicato in romeno e in italiano.
L’edizione italiana della silloge del 1994, Frammenti
di spazio austero (Libro Italiano, Ragusa, 2001) ha ottenuto il premio
romano “Le rosse pergamene” nel 2002. Hanno fatto seguito In Autoscap (Edizioni Vinea, Bucarest, 2009); La Nord de cuvant (A Nord
della parola, Edizioni Tracus Arte, Bucarest, 2010) e transcripturi din constient (trascrizioni
del cosciente, Edizioni Eikon, Cluj Napoca, 2011).
In Romani ha ottenuto i seguenti premi
“Mihai Eminescu”, Botosani 1991, “Lucian Blaga”, Sebes 1992; in Francia:
“Mitteleuropa”, Strasbourg, 1993; in Italia: “Etnie Poesie”, Trieste, 1999,
“Marguerite Yourcenar”, Milano, 1999 (inclusa nell’antologia del suddetto premio,
Montedit, 2000; distinzione per la poesia dell’Accademia della Cultura Europea,
Roma, 1999).
Giornalista professionista è stata
corrispondente in Italia per varie testate romene. E’ membro dell’USR (Unione
Scrittori della Romania).
scrittore,
critico-recensionista
Jesi, 23-08-2012
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