giovedì 16 agosto 2012

"Serena e di stelle", poesia di Emanuele Marcuccio con vari commenti critici



 “Serena e di stelle…”
(poesia di Emanuele Marcuccio)

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
Giacomo Leopardi,
da «La sera del dì di festa»

Serena e di stelle
è la notte, di cielo
e di vento che sibila in me…
e pioggia e di vento nell’anima
che fischia
al tedio che l’avvolge
e volge indietro i giorni
di quei perduti dì
che mai
si volgeranno…


(16/3/2012)




“Serena e di stelle…”
Commento a cura di Luciano Domenighini
Questa lirica si potrebbe definire un “idillio interiorizzato”, dove gli elementi della natura entrano ad abitare l’animo del poeta. In questi pochi versi Marcuccio si abbandona totalmente al gioco di cogliere e riprodurre intatte le frasi poetiche, così come gli sgorgano dalla sorgente dell’ispirazione e di aggiogarle con libertà, facendo assurgere lo zeugma e l’anacoluto a raffinati strumenti espressivi. Tessuto connettivo, legante di questo poetare non sono più le concordanze sintattiche o logico-concettuali, rese labili o addirittura trasgredite senza rimpianto, ma il fluire spontaneo della musica dei versi e il loro associarsi secondo forze misteriose. Interessante, da un punto di vista metrico, scoprire la reale natura dei primi tre versi (senario, settenario, novenario) che in realtà sono due separati dalla virgola, entrambi specificanti del bel sintagma leopardiano “Serena è la notte” : un novenario ellittico reso elegante dall’anastrofe, e un vigoroso endecasillabo tronco sapientemente alleggerito dai punti di sospensione. Anche qui Marcuccio si conferma maestro nell’escogitare, spontaneamente, inedite e complesse architetture metriche.


“Serena e di stelle…”
Commento a cura di Cinzia Tianetti
Auspicativo: qualcuno l’ha vista “Dolce e chiara”  la notte “e senza vento”. La risposta è lì, in quei pochi versi del grande poeta Giacomo Leopardi, con cui si apre «La sera del dì di festa», riposto lì è l’incipit, che apre la nostra lirica: “Serena e di stelle / è la notte, di cielo”. S’intravede un nuovo orizzonte per l’anima e il cuore, in cui sarà senza vento la notte, e dolce. E quei giorni, al tedio, che avvolge l’anima, volti indietro, a quei perduti dì, si schiariranno al pacificarsi dell’anima “di quei perduti dì / che mai / si volgeranno…”.Ma ecco le note che movimentano la poesia stessa nel loro far intravedere l’ondosità della nostra stessa esistenza, del riposto segreto che avvolge l’anima dell’uomo: quei dì perduti che troveremo nella melanconia, nel dolcissimo amaro ricordo, nel tedio, che inteso in senso senecano, ci fa filosofare sul perché “sono io e non un altro”, sul perché “proprio a me”, mentre i fantasmi vivono la dimora di un passato che torna come l’onda alla riva. Quei giorni non torneranno più, animando, così, il nostro stesso animo, strappato all’impassibilità dello “stare”, mosso al cielo di stelle o di vento o di pioggia, all’esistere e all’essere. Sicuri che la sera arriverà al giorno, il sereno alla pioggia e al vento, e che il cielo sarà di nuovo stellato, ma nella ciclicità del ritorno. Ed Emanuele, in questa lirica ci mostra che l’alternarsi è il reale vissuto, l’alternarsi dei nostri sentimenti al sentire dell’intimo nostro io.L’anima, ora cielo desiderante, obnubila, nei giorni perduti, il suo stesso io perché sa che il tempo trascorre portandosi via un cammino costruito in ciò che diventiamo, in ciò in cui volgeremo, aspettandoci la serena notte che avvolge gli occhi e il cuore, rincuorandoci alla fine dei giorni.Ecco il lascito di questi versi che leggo con gran lucidità, con il medesimo contraddistinto segno malinconico, così tipico di questo autore, legandoci col pensiero a quel filo che si annoda così bene sull’ultimo accento, sull’ultimo suono di parola. Con questi versi ci mostra che il segreto del vivere è riposto in una circolarità che non è mai banale o scontata ripetizione ma annodata, salomonica[1] circolarità psichica-emozionale: quindi, non una banale circolarità ma la circolarità che può avere un “nodo”, un “annodamento” in cui tutto si risolve sì nell’unione dei due capi ma non in maniera così “lineare” e facile. Un nodo che unisce e contemporaneamente, vincola, esprimendo una circolarità senza soluzione di continuità, intesa anche come l’unione e il vincolo dell’uomo con la sua dimensione interiore, con la sua parte irrazionale e emotiva, in una visione in cui nessuno stato d’animo è definitivo.


“Serena e di stelle…”
Commento a cura di Lorenzo Spurio
 Ho avuto l’occasione di leggere molti testi, alcuni anche in anteprima, prodotti dal poeta palermitano Emanuele Maruccio, e di scriverne alcuni commenti, come una recensione
alla sua prima silloge di poesia Per una strada (SBC Edizioni, Ravenna, 2009) o, addirittura, curare la postfazione al suo libro di aforismi in via di pubblicazione.
Marcuccio è un poeta attento e delicato, molto produttivo, del quale sono a commentare questa sua nuova produzione lirica. Come ho già avuto modo di osservare nella recensione a Per una strada, e come rivela lo stesso poeta nella prefazione della stessa silloge, la sua produzione è fortemente ispirata, motivata e imbevuta dei temi e dei topos leopardiani (la sofferenza, la malinconia, la solitudine, lo sguardo pessimista e cupo sulla società che circonda l’uomo). “Serena e di stelle”, ritorna ai motivi del poeta recanatese e il riferimento è ben evidente dai versi iniziali in esergo tratti appunto dalla nota “La sera del dì di festa”.
La poesia di Marcuccio, concisa e densa nei significati, si offre al lettore piacevolmente a partire dall’estetica, dalla sua morfologia, che alterna versi lunghi a versi molto più corti, costituiti da poche sillabe. I temi cari a Leopardi sono ripresi e utilizzati tenendo ben presente questo prestigioso rimando letterario e, come nell’ampia produzione poetica del Marcuccio, si riscontra un senso di cupezza e nostalgia. La tranquillità e la beatitudine del cielo nelle ore notturne contrasta con l’inquietudine e la desolazione dell’animo del poeta il quale pure si deprime per la presa di coscienza del tempo beffardo che scorre e che mai più ritorna, similmente alla concezione shakespeariana del tempo contenuta nei famosi Sonetti.
È una poesia che va letta tutta d’un fiato, e poi riletta e riconsiderata. Leopardi fuoriesce da ogni singola parola, dalla cadenza, dalla struttura e dai temi. La facoltà che Marcuccio ha è quella di far rivivere nella nostra contemporaneità un’artista scomparso da tanti anni, riproponendolo a suo modo, e ricordando i suoi pezzi più celebri.



Chi è l’autore?
EMANUELE MARCUCCIO è nato a Palermo nel 1974.  Scrive poesie dal 1990, nell’agosto del 2000 sono state pubblicate sue poesie, presso l’Editrice Nuovi Autori di Milano, nel volume antologico di poesie e brevi racconti Spiragli ‘47. Partecipa a concorsi letterari di poesia ottenendo buone attestazioni e la segnalazione delle sue opere in varie antologie.
Nel marzo 2009 è uscita la sua raccolta di poesie Per una strada, SBC Edizioni, recensita da vari studiosi e critici tra cui Luciano Domenighini, Alessandro D’Angelo, Lorenzo Spurio, Nazario Pardini e Marzia Carocci.
Una sua poesia edita è stata pubblicata nell’agenda 2010 Le pagine del poeta. Mario Luzi, da Editrice Pagine di Roma.
Nel 2010 ha accettato la proposta di collaborare con una casa editrice per la scoperta di nuovi talenti poetici, tra giugno 2010 e luglio 2011 ha presentato tre autori, riuscendo così a far pubblicare tre libri di poesie e, dal 2011 è consigliere onorario del sito “poesiaevita.com”, che promuove anche una sezione editoriale ospitante le collane di opere da lui curate.
Dal 1990 sta scrivendo un dramma epico ambientato al tempo della colonizzazione dell'Islanda, di argomento storico-fantastico.
Ha inoltre scritto vari aforismi, ottantotto dei quali sono stati raccolti nella silloge Pensieri minimi e massime, Photocity Edizioni, edita nel giugno 2012.
Ha curato prefazioni a sillogi poetiche e varie interviste ad autori esordienti ed emergenti su blog letterari. È collaboratore della rivista on-line di letteratura Euterpe. È stato membro di giuria nella prima edizione del concorso nazionale di poesia “L’arte in versi” (2012).
È presente su blog, siti e forum letterari, tra cui “Literary”, con una scheda bio-bibliografica nell’Atlante letterario italiano. Ha in programma la pubblicazione di una seconda silloge di poesie. (Agg. al luglio 2012)



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[1] Il nodo di Salomone, simbolo frequente nei pavimenti musivi dell’arte paleocristiana, esprime sia conflitto che ricongiunzione, riappacificazione, tra il terreno e il celeste.

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