sabato 13 aprile 2024

"Rebus Banksy", la nuova opera di Andrea Del Monte, recensita da Lorenzo Spurio

È uscito il 6 dicembre scorso in tutte le librerie, per i tipi della romana Ensemble, Rebus Banksy, il nuovo libro-disco di Andrea Del Monte che porta quale sottotitolo L’uomo dall’arte ribelle.

Non si tratta solo di un libro dedicato al grande artista e writer britannico ma anche un libro di poesie, racconti e di musica. Nominare Banksy – si legge nel comunicato di lancio dell’opera – significa solitamente catturare immediatamente l’attenzione mediatica anche se l’interesse sociale spesso si limita solo a cercare d’individuarne l’identità. Del Monte ha avuto modo di osservare: «Per me, l’identità di Banksy può restare un rebus. A me interessa la sua arte». Ed è tale l’obiettivo del libro-disco: andare al di là del nome per approfondire, attraverso alcune delle massime forme d’arte, tutti i significati che le opere del celebre e al contempo misterioso writer possono offrire. Emozioni, sentimenti, riflessioni, note e quant’altro.



Per realizzare l’opera Andrea Del Monte si è avvalso della collaborazione di Jacopo Colabattista, che ha ridisegnato dieci opere di Banksy, degli scrittori e poeti Vivian Lamarque, Antonio Veneziani, Renzo Paris, Elisabetta Bucciarelli, Geraldina Colotti, Susanna Schimperna, Giorgio Ghiotti, Gino Scartaghiande, Fernando Acitelli, Antonio Pennacchi, Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Angelo Mastrandrea, Alessandro Moscè, Claudio Finelli, Marcello Loprencipe, Diego Zandel, Helena Velena e Ugo Magnanti.

Tra le opere di Banksy selezionate e qui riprodotte figurano “Il lanciatore di fiori” (“The Flower Thrower”, opera in stencil nero apparsa nel 1999 su un muro di Beit Sahour in Palestina) in cui in una diapositiva di un’ipotetica intifada al posto delle pietre vengono lanciati fiori a trasmettere un’idea di negazione della guerra nella quale la collettività dovrebbe impegnarsi; “La madonna con la pistola” (apparso come murales nei pressi di Piazza Gerolomini a Napoli) con un chiaro intento di denuncia del fenomeno malavitoso camorrista; “Bambino migrante” (“Migrant child”) opera apparsa nel 2019 su un muro di una casa lambita dall’acqua del Canale a Venezia nel sestiere Dorsoduro, in cui il tema è l’immigrazione che concerne il mondo dell’infanzia: il bambino tiene in mano un razzo di segnalazione dal quale diparte una conformazione fumosa in un acceso color fucsia ad intendere un SOS lanciato. Il critico Vittorio Sgarbi all’epoca sostenne che era necessario un intervento protettivo per tutelare l’opera, esposta alle intemperie e all’umidità vista la prossimità dell’acqua del Canale che arriva a coprire addirittura i piedi del ragazzino ritratto.

Tra le altre opere di Banksy proposte figurano “Il calciatore rivoluzionario” pensata per riferirsi all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), un movimento nato in Messico in sostegno delle popolazioni indios contro il capitalismo rappresentato dal Subcomandante Marcos; “Babbo Natale” apparso su un muro di Birmingham dove, a un vero clochard che dorme steso su una panchina, il misterioso artista ha pitturato sul muro le linee che collegano alle renne (la panchina sarebbe dunque la slitta). Il canonico ridanciano Santa Claus è trasformato da Banksy in clochard, povero derelitto che vive alle intemperie della vita, per sottolineare il tema della marginalità delle periferie, della vulnerabilità e della povertà sociale.

Si continua con “Evoluzione umana in codice a barre” (o “Evoluzione della scimmia a codice a barre”) in cui nella poesia collegata, a firma dello stesso Andrea Del Monte, leggiamo “Sono una persona, non sono un codice a barre, / sono una persona, non sono uguale alle altre”. Fanno capolino il tema dell’alienazione e della mancanza d’identità che in questa società contemporanea purtroppo spopolano e che lasciano il posto alla generalizzazione e al bieco relativismo. Con l’opera banksyana “Bambini sulle armi” (“Kids on guns”) ritorna il tema della violenza, della guerra, riferito all’inerme mondo dei bambini: qui due ragazzi sono ritratti vicini sulla sommità di un cumulo di armi d’artiglieria. Il tutto ha – come capita quasi sempre – una colorazione nera mentre il palloncino che reggono e che si eleva verso l’alto (a differenza delle armi, in basso) è di colore rosso e ha una forma di cuore. Associata a quest’opera è una cantilenesca poesia di Vivian Lamarque – poetessa da sempre particolarmente legata al mondo dei minori – intitolata “Filastrocca in disarmo” che recita: “C’era una guerra così intelligente / che solo lei si capiva / gli altri non capivano niente, / gli altri non capivano niente”. E poi, verso la chiusa: “Morivano tutti anche i bambini / […] // Ma più di tutti moriva il mare / vedendo i bambini morire di mare”.

C’è poi la curiosa “Banconota Lady Diana / Di-Faced Turner” che ritrae una fantasiosa banconota con l’immagine della Principessa dei Cuori e, al posto di Bank of England, Banksy of England. Si tratta, come avviene nella maggior parte dei casi, di una provocazione. L’artista vuol forse riferirsi allo stigma della donna per l’allontanamento dalla Real Casa e al clima d’odio fomentato da certa stampa, alla sua vulnerabilità di donna e alla solitudine del suo ultimo periodo prima del tragico incidente nella Capitale francese. Nella poesia di Susanna Schimperna dedicata alla Principessa si legge: “Lei era troppo dolce / guardava intimidita sempre da un’altra parte”.

Tra le ultime opere proposte in questo volume grafico, poetico, narrativo e musicale ci sono “Il bacio dei poliziotti” (“Kissing Coppers”) e “La bambina con il palloncino” (“Balloon girl”) quest’ultima accompagnata, in chiave poetica, da un testo di Elisabetta Bucciarelli.

Rebus Banksy, che è un’opera polifonica e multimediale, contiene anche quattro interviste ad altrettanti esponenti del mondo artistico in tutte le sue declinazioni: Vittorio Sgarbi, Vauro Senesi, Sabina De Gregori (autrice del primo libro, nel nostro Paese, dedicato al geniale artista di strada, Banksy, il terrorista dell’arte, opera del 2010) e Giuseppe Pollicelli. Il medesimo format d’intervista è proposto per i quattro esponenti intervistati. Diverse sono le considerazioni attorno alle potenzialità della street art di Banksy, a fornire uno scenario completo e variegato, motivo di riflessione.

Mediante il codice QR che figura nel colophon del libro è possibile ascoltare le dieci canzoni che l’Autore ha prodotto in collaborazione con artisti di fama mondiale tra i quali John Jackson (storico chitarrista di Bob Dylan), Fernando Saunders (produttore e bassista di Lou Reed) ed Ezio Bonicelli (violinista e chitarrista di Giovanni L. Ferretti e dei CCCP).

Andrea Del Monte è chitarrista, cantautore e compositore. Ha partecipato allo storico festival “Il Cantagiro” dell’edizione 2007, risultando vincitore del premio della critica. Si è più volte esibito a Casa Sanremo e nel Sanremo Off e in alcune tappe di Radio Italia. Al suo primo EP hanno collaborato John Jackson e il musicista ed etnomusicologo Ambrogio Sparagna. Ha pubblicato il libro Brigantesse, storie d’amore e di fucile (Ponte Sisto, Roma, 2019) il cui disco allegato si apre con l’intervento di Sabrina Ferilli e il libro-disco Puzzle Pasolini (Ensemble, Roma, 2022) con il quale ha ricevuto in Campidoglio i premi “Microfono d’oro”, “Antenna d’oro per la TIVVU” e il “Sette Colli”. A Lanuvio l’opera è stata premiata con il premio speciale “Croffi – Castelli Romani Film Festival”.

 

 

Lorenzo Spurio

 

Matera, 08/0/2024

 

 

 

 

lunedì 4 marzo 2024

Lorenzo Spurio su "Il tempo della carestia", ultima opera poetica del pugliese Gianni Antonio Palumbo

La nuova opera poetica di Gianni Antonio Palumbo – docente universitario, apprezzato anche quale critico letterario – porta il titolo apparentemente emblematico de Il tempo della carestia. Di quale carestia stiamo parlando? In realtà la domanda basilare e propedeutica che bisognerebbe porsi è che cosa voglia intendere l’Autore con il termine “carestia”. Probabilmente – stiamo, comunque, nel campo dell’inferenza – l’utilizzo di questo termine è in forma analogica e personalizzata, forse addirittura ermetica o depistante. Vedremo nel corso di questa breve analisi quali di queste considerazioni possano sembrare più lontane dall’evidenza, dalla realtà, dalle intenzioni – più o meno palesate – del Nostro.

Un breve excursus dell’ampio e notevole percorso letterario dell’Autore è senz’altro utile a questa altezza, anche perché ci permette di comprendere meglio anche le numerosi fonti citate, le influenze, gli echi e le reminiscenze letterarie, i camei, le ricorrenze e le circostanze che hanno motivato la stesura di determinati testi.

Il poeta e promotore culturale pugliese Gianni Antonio Palumbo

Gianni Antonio Palumbo (Molfetta, BA, 1978) è attualmente docente di Filologia letteraria italiana e Metodologia della critica letteraria presso l’Università di Foggia. Quale critico letterario si è occupato prevalentemente della letteratura italiana del Rinascimento, dell’Ottocento e di quella contemporanea con vari saggi, studi e recensioni anche di volumi di autori contemporanei. Per la saggistica in volume ha pubblicato Vestali in un mondo senza sogni (SECOP, 2011) e La biblioteca di un grammatico (Cacucci, 2012), quest’ultimo sull’umanista Giuniano Maio e curato l’edizione delle Rime (Stilo, 2019) della poetessa lucana Isabella Morra. Sue poesie sono state tradotte in varie lingue e di lui hanno parlato, tra gli altri, in volumi e studi sulla letteratura pugliese, i docenti universitari e critici letterari Ettore Catalano e Daniele Maria Pegorari. Per la narrativa ha pubblicato il romanzo Non alla luna, non al vento di marzo (Schena, 2006) e la raccolta di racconti Il segreto di Chelidonia (SECOP, 2014); attivo anche in campo drammaturgico con la stesura di pièce teatrali, tra cui alcune totalmente inedite. Già redattore della storica rivista barese «La Vallisa», lo è ora delle riviste «Luce e Vita», «Quindici» e collaboratore di «Menabò».

Nella parte centrale della copertina appare un particolare di una tela dai colori ambrati che ritrae una donna, probabilmente immagine di una musa, che suona uno strumento a corde. L’immagine, dal chiaro ed elegante gusto preraffaelita, c’introduce in questo percorso poetico volutamente strutturato in vari itinerari interni, micro-sillogi dotate di un proprio titolo, con un numero di componimenti diversi e afferenti a sfere tematico-concettuali differenti che l’Autore ha inteso evidenziare proprio mediante questa sorta di “catalogazione per capitoli”. Palumbo ha deciso di pubblicare anche vari componimenti non nuovi, non inediti, già apparsi su riviste con le quali collabora o su altri libri (suoi o di terzi, prevalentemente in operazioni editoriali di tipo antologico).

Il tempo della carestia esordisce con “L’autoaprentesi apertura” (espressione che credo voglia richiamare un passo de L’origine dell’opera d’arte del filosofo Heidegger), si snoda nella sezione “Variazione di Selene” con liriche incentrate sul canto (e la ricerca, il colloquio) con la Luna – un tema ricorrente nella poesia di tutti i tempi – in cui la luna non è solo elemento di fascino ma motivo interloquitivo e meditativo (“La notte è nel respiro / la notte è forma dei nostri pensieri. / […] / Siamo notte notte notte”, 42). Immagine-emblema che ha la sua coda luminosa nella sezione successiva, “Non alla luna, non al vento di marzo” che contiene, tra le altre, liriche molto appassionate quali “Memory” e “Nostalgia”. Uno dei temi centrali è quello del ricordo richiamato in forma sottrattiva, vale a dire nella perplessità della memoria, nel timore dinanzi alla dimenticanza (“senza ricordi / sarei un’ombra”, 52). Ci sono due piccole sezioni del volume dedicate ad alcuni luoghi conosciuti e frequentati dal Nostro, con particolare alle città di Bari e Brindisi, e l’altra ai “Familiares”, componimenti che trovano nei rapporti di affetto e stima verso propri cari il motivo trainante per la relativa stesura. In “Lari e miti” il sostrato è interamente di tradizione classica, con rievocazioni, echi e comparazioni, attualizzazioni e considerazioni su personaggi mitologici e le loro particolarità tramandate da sempre. Troviamo affrontata anche la dimensione religiosa nella sezione “Canti spirituali”. Le sezioni conclusive sono “Trionfi” e “L’asfalto e la grazia”, un poemetto.

Per ritornare al dubbio iniziale sul modo in cui è possibile concepire il concetto di “carestia” che Palumbo ha voluto mettere in campo quale emblema del tempo che ha inteso descrivere e narrare in versi possiamo senz’altro porci delle domande. Non credo voglia alludere semplicemente a una mancanza d’alimentazione generalizzata, di fame sociale o, per lo meno, non da intendere come una fame concreta e oggettiva, da saziare con alimenti reali. L’Autore potrebbe riferirsi a una situazione di carestia – di penuria, di mancanza e sofferenza, di vulnerabilità – che è dettata da un impoverimento immateriale, di tipo etico, di sterilità sentimentale, di disattenzione all’altro. L’esergo, in un tono quasi apocalittico, può farci pensare a una sorta di minaccia d’imminente concretizzazione, di uno spauracchio dietro l’angolo e, dunque, il tempo della carestia potrebbe essere quello dell’SOS, della ricerca d’aiuto prima di sprofondare completamente nell’abisso, di addentrarsi senza appigli nel pieno della carestia. Carestia umana, emozionale, dei rapporti, delle intenzioni, intesa come una sospensione che ha dell’irreale ma che l’Autore richiama quale limite massimo che si appresta a essere valicato perigliosamente. È quel che sembra dirci il “Cantico del Controsamaritano” che apre l’intero libro in cui, con freddezza e noncuranza, si legge “Lasciai morire un uomo per ignavia” (9); “voltai la testa altrove” (10), “noi che assistemmo allo scempio dell’umano” (11) e che fa concludere l’io lirico in un moto di disapprovazione e d’implorante castigo: “dacci la vergogna della nostra indifferenza” (11). A questo atteggiamento dettato dalla morbosa impassibilità Palumbo contrappone la solidale compassione e la partecipazione emotiva come quando considera e parla delle addolorate “madri d’Argentina / che hanno smarrito i figli” (107) pur dinanzi all’evidenza della corruzione e della meschinità dei tempi che dominano in “questa nostra smarginata terra” (19).

 

 Lorenzo Spurio

Matera, 23/01/2024

lunedì 5 febbraio 2024

Lorenzo Spurio su "Tania di Malta", nuova opera poetica della poetessa Tania Di Malta

Recensione di Lorenzo Spurio

 La poetessa Tania Di Malta, dopo un volume antologico di cui molto si è parlato nel quale ha raccolto una serie di poeti realista-terminali dal titolo Il gommone forato. La poesia civile del Realismo Terminale (Puntoacapo, Pasturana, 2022)[1], ha pubblicato la silloge dal titolo tautologico Sono Di Malta per le edizioni Ensemble a luglio del 2023.

L’opera s’iscrive in un denso percorso letterario che segue i precedenti lavori Aquiloni sul mare nella notte (CTL, Livorno, 2017) e Addio ai girasoli (CTL, Livorno, 2018) ed è la naturale prosecuzione di una lunga e convinta adesione al Movimento del Realismo Terminale (il cui Manifesto venne redatto e siglato dal Maestro Guido Oldani nel 2010) al quale ha fatto parte dall’ottobre 2017 al settembre 2023.

La Di Malta collabora attivamente da anni tanto con Oldani (che apre il nuovo volume con una sua breve nota prefattiva) che con il professore Giuseppe Langella, già ordinario di Letteratura Italiana all’Università Cattolica di Milano, considerato uno dei maggiori “teorici” del Movimento.

Oldani osserva che i testi della Di Malta “scorrono negli spigoli dell’armonia, fra l’ossatura della poesia civile e l’umanitarietà del singolo rapporto esistenziale” (7-8). Stile, immagini, concetti prettamente realista-terminali, echi e linguismi particolari (compresi esterofilismi) si coniugano in un dettato lirico prevalentemente asciutto e in alcuni tratti ruvido, tendente più a depistare che a rivelare. Non mancano sguardi critici verso il reale circostante, mai disgiunti dalla compartecipazione robusta e cosciente ai fatti – più o meno piacevoli, anzi spesso drammatici quando non addirittura traumatici – della contemporaneità. “Questo mondo trita divora inghiotte / e alla cassa evade lo scontrino” (23).

La metafora rovesciata, che è cardine fondante della poetica dei realisti terminali, si concettualizza in una oggettivazione anche dell’immateriale, in un transfert (a volte spaventoso, altre volte riflesso di una distopia che s’avvicina) da organico a materia inerte. L’approccio è chiaramente polemico (nel senso autentico del termine, di “battagliero”) e tragicomico: anche l’identità dell’individuo, che dovrebbe essere peculiare e distintiva, può divenire indistinguibile e generico oggetto. Sono Di Malta – recita il titolo dell’opera – che è una sorta di gioco intelligente sull’omonimia e la polisemantica che proviene da un intendimento di questo tipo.  A ragione Langella etichetta l’Autrice (alla quale dedica un’impressiva poesia posizionata in apertura del volume) nei termini di “un bazooka, […] un lanciafiamme” (9) con l’aggiunta, pochi versi dopo, di una dichiarazione potente: “Ha fegato e cuore da guerriera” (9).

Due poesie, in apertura, sono poste “a specchio”, si tratta di “Flash”, in ricordo delle vittime di Hiroshima e Nagasaki dei tremendi attacchi nucleari del 1945 (“nel cielo s’aprì il sesto sigillo // […] // Lì dove l’erba mutò in cemento”, 11) e “Le colpe dei padri”, coda riflessiva e postuma dell’eccidio ormai storia lontana di cui indirettamente possiamo sentirci responsabili.

La poetessa Tania Di Malta

L’opera si snoda in cinque micro-sillogi interne, ciascuna dotata di una sua propria titolazione: “La piazza”, “Luna park”, “Il cono d’ombra”, “La Pandemia” e “Un secchio d’azzurro”. Si ritrovano nel volume alcuni testi precedentemente letti (e commentati) facenti parti del volume già citato Il gommone forato (2022) tra cui “Icaro.com” dedicata a Laurent Barthélémy, colui che nel 2020 “vol[le] fare di un carrello le [s]ue ali” (27), divenuto poi “bagaglio in aeroporto” (27), dedicata a colui che “part[ì] bimbo, arriv[ò] surgelato” (27). Nella sezione dedicata alla pandemia sono contenuti versi che tratteggiano quegli attimi dolorosi visti e vissuti direttamente dalla trincea ospedaliera, dove l’Autrice lavorava e lavora, impiegando un linguaggio rarefatto, denso di terminologie farmaceutiche, in una sospensione di respiro a tratti ottundente, ma c’è anche il ricordo dell’estrema solitudine del Pontefice in Piazza San Pietro in quelle ore tragiche dettate dal distanziamento e dalla paranoia collettiva.

Una boccata d’aria pulita e un vento sorgivo che annuncia una lieve rinascita dopo la sconvolgente esperienza sociale che ci ha divisi, impoveriti di cari e amici e forse responsabilizzato un po’ verso l’altro, sono contenuti nei pochi versi finali che appartengono alla sezione “Un secchio d’azzurro”: “Apri le cancellate della mente / infrangila la bolla d’aria e prova / la voluttà di un tuffo rovesciato / per esperimenti di felicità” (79). L’approdo di una nuova età non è semplice risultante consecutiva al procedimento complesso e affastellato dei fatti e degli accadimenti, ma necessita di resilienza, impegno e compromissione, d’intervento attivo e di spirito polemico, di rivendicazione onesta delle proprie idee, che è quella “voluttà di un tuffo rovesciato” di cui la Nostra ci parla.

 

 Lorenzo Spurio

 

 



[1] La mia recensione a quest’opera è stata pubblicata sulla rivista «Oblio», anno XII, n° 46, dicembre 2022, pp. 201-203.