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sabato 13 aprile 2024

"Rebus Banksy", la nuova opera di Andrea Del Monte, recensita da Lorenzo Spurio

È uscito il 6 dicembre scorso in tutte le librerie, per i tipi della romana Ensemble, Rebus Banksy, il nuovo libro-disco di Andrea Del Monte che porta quale sottotitolo L’uomo dall’arte ribelle.

Non si tratta solo di un libro dedicato al grande artista e writer britannico ma anche un libro di poesie, racconti e di musica. Nominare Banksy – si legge nel comunicato di lancio dell’opera – significa solitamente catturare immediatamente l’attenzione mediatica anche se l’interesse sociale spesso si limita solo a cercare d’individuarne l’identità. Del Monte ha avuto modo di osservare: «Per me, l’identità di Banksy può restare un rebus. A me interessa la sua arte». Ed è tale l’obiettivo del libro-disco: andare al di là del nome per approfondire, attraverso alcune delle massime forme d’arte, tutti i significati che le opere del celebre e al contempo misterioso writer possono offrire. Emozioni, sentimenti, riflessioni, note e quant’altro.



Per realizzare l’opera Andrea Del Monte si è avvalso della collaborazione di Jacopo Colabattista, che ha ridisegnato dieci opere di Banksy, degli scrittori e poeti Vivian Lamarque, Antonio Veneziani, Renzo Paris, Elisabetta Bucciarelli, Geraldina Colotti, Susanna Schimperna, Giorgio Ghiotti, Gino Scartaghiande, Fernando Acitelli, Antonio Pennacchi, Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Angelo Mastrandrea, Alessandro Moscè, Claudio Finelli, Marcello Loprencipe, Diego Zandel, Helena Velena e Ugo Magnanti.

Tra le opere di Banksy selezionate e qui riprodotte figurano “Il lanciatore di fiori” (“The Flower Thrower”, opera in stencil nero apparsa nel 1999 su un muro di Beit Sahour in Palestina) in cui in una diapositiva di un’ipotetica intifada al posto delle pietre vengono lanciati fiori a trasmettere un’idea di negazione della guerra nella quale la collettività dovrebbe impegnarsi; “La madonna con la pistola” (apparso come murales nei pressi di Piazza Gerolomini a Napoli) con un chiaro intento di denuncia del fenomeno malavitoso camorrista; “Bambino migrante” (“Migrant child”) opera apparsa nel 2019 su un muro di una casa lambita dall’acqua del Canale a Venezia nel sestiere Dorsoduro, in cui il tema è l’immigrazione che concerne il mondo dell’infanzia: il bambino tiene in mano un razzo di segnalazione dal quale diparte una conformazione fumosa in un acceso color fucsia ad intendere un SOS lanciato. Il critico Vittorio Sgarbi all’epoca sostenne che era necessario un intervento protettivo per tutelare l’opera, esposta alle intemperie e all’umidità vista la prossimità dell’acqua del Canale che arriva a coprire addirittura i piedi del ragazzino ritratto.

Tra le altre opere di Banksy proposte figurano “Il calciatore rivoluzionario” pensata per riferirsi all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), un movimento nato in Messico in sostegno delle popolazioni indios contro il capitalismo rappresentato dal Subcomandante Marcos; “Babbo Natale” apparso su un muro di Birmingham dove, a un vero clochard che dorme steso su una panchina, il misterioso artista ha pitturato sul muro le linee che collegano alle renne (la panchina sarebbe dunque la slitta). Il canonico ridanciano Santa Claus è trasformato da Banksy in clochard, povero derelitto che vive alle intemperie della vita, per sottolineare il tema della marginalità delle periferie, della vulnerabilità e della povertà sociale.

Si continua con “Evoluzione umana in codice a barre” (o “Evoluzione della scimmia a codice a barre”) in cui nella poesia collegata, a firma dello stesso Andrea Del Monte, leggiamo “Sono una persona, non sono un codice a barre, / sono una persona, non sono uguale alle altre”. Fanno capolino il tema dell’alienazione e della mancanza d’identità che in questa società contemporanea purtroppo spopolano e che lasciano il posto alla generalizzazione e al bieco relativismo. Con l’opera banksyana “Bambini sulle armi” (“Kids on guns”) ritorna il tema della violenza, della guerra, riferito all’inerme mondo dei bambini: qui due ragazzi sono ritratti vicini sulla sommità di un cumulo di armi d’artiglieria. Il tutto ha – come capita quasi sempre – una colorazione nera mentre il palloncino che reggono e che si eleva verso l’alto (a differenza delle armi, in basso) è di colore rosso e ha una forma di cuore. Associata a quest’opera è una cantilenesca poesia di Vivian Lamarque – poetessa da sempre particolarmente legata al mondo dei minori – intitolata “Filastrocca in disarmo” che recita: “C’era una guerra così intelligente / che solo lei si capiva / gli altri non capivano niente, / gli altri non capivano niente”. E poi, verso la chiusa: “Morivano tutti anche i bambini / […] // Ma più di tutti moriva il mare / vedendo i bambini morire di mare”.

C’è poi la curiosa “Banconota Lady Diana / Di-Faced Turner” che ritrae una fantasiosa banconota con l’immagine della Principessa dei Cuori e, al posto di Bank of England, Banksy of England. Si tratta, come avviene nella maggior parte dei casi, di una provocazione. L’artista vuol forse riferirsi allo stigma della donna per l’allontanamento dalla Real Casa e al clima d’odio fomentato da certa stampa, alla sua vulnerabilità di donna e alla solitudine del suo ultimo periodo prima del tragico incidente nella Capitale francese. Nella poesia di Susanna Schimperna dedicata alla Principessa si legge: “Lei era troppo dolce / guardava intimidita sempre da un’altra parte”.

Tra le ultime opere proposte in questo volume grafico, poetico, narrativo e musicale ci sono “Il bacio dei poliziotti” (“Kissing Coppers”) e “La bambina con il palloncino” (“Balloon girl”) quest’ultima accompagnata, in chiave poetica, da un testo di Elisabetta Bucciarelli.

Rebus Banksy, che è un’opera polifonica e multimediale, contiene anche quattro interviste ad altrettanti esponenti del mondo artistico in tutte le sue declinazioni: Vittorio Sgarbi, Vauro Senesi, Sabina De Gregori (autrice del primo libro, nel nostro Paese, dedicato al geniale artista di strada, Banksy, il terrorista dell’arte, opera del 2010) e Giuseppe Pollicelli. Il medesimo format d’intervista è proposto per i quattro esponenti intervistati. Diverse sono le considerazioni attorno alle potenzialità della street art di Banksy, a fornire uno scenario completo e variegato, motivo di riflessione.

Mediante il codice QR che figura nel colophon del libro è possibile ascoltare le dieci canzoni che l’Autore ha prodotto in collaborazione con artisti di fama mondiale tra i quali John Jackson (storico chitarrista di Bob Dylan), Fernando Saunders (produttore e bassista di Lou Reed) ed Ezio Bonicelli (violinista e chitarrista di Giovanni L. Ferretti e dei CCCP).

Andrea Del Monte è chitarrista, cantautore e compositore. Ha partecipato allo storico festival “Il Cantagiro” dell’edizione 2007, risultando vincitore del premio della critica. Si è più volte esibito a Casa Sanremo e nel Sanremo Off e in alcune tappe di Radio Italia. Al suo primo EP hanno collaborato John Jackson e il musicista ed etnomusicologo Ambrogio Sparagna. Ha pubblicato il libro Brigantesse, storie d’amore e di fucile (Ponte Sisto, Roma, 2019) il cui disco allegato si apre con l’intervento di Sabrina Ferilli e il libro-disco Puzzle Pasolini (Ensemble, Roma, 2022) con il quale ha ricevuto in Campidoglio i premi “Microfono d’oro”, “Antenna d’oro per la TIVVU” e il “Sette Colli”. A Lanuvio l’opera è stata premiata con il premio speciale “Croffi – Castelli Romani Film Festival”.

 

 

Lorenzo Spurio

 

Matera, 08/0/2024

 

 

 

 

sabato 18 marzo 2023

Isabella Michela Affinito sulla plaquette poetica lorchiana di Lorenzo Spurio

Recensione al libro di poesie di Lorenzo Spurio, dal titolo: “ TRA GLI ARANCI E LA MENTA – Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca”, Collana L’Appello – Poetikanten Edizioni dell’Associazione Culturale Ilfilorosso di Rogliano (CS), Seconda edizione Anno 2020, Euro 10,00, pagg. 65.



«[…] Lungo una strada va/ la morte incoronata/ di fiori d’arancio appassiti./ Canta e canta/ una canzone/ sulla chitarra bianca,/ e canta, canta, canta.// Sulle torri gialle/ tacciono le campane.// Il vento con la polvere/ compone prore d’argento.» (Dalla poesia Clamore di Federico García Lorca, tratta dal libro monografico n°5 Federico García Lorca – POESIE, Collana “La Grande Poesia – Corriere della Sera”, Edizione speciale per il Corriere della Sera, RCS Quotidiani S.p.A. di Milano, Anno 2004, pag.49).

L’omaggio poetico che il saggista scrittore critico letterario della provincia di Ancona, Lorenzo Spurio, ha voluto dedicare a uno dei più importanti personaggi della letteratura spagnola del primo Novecento, Federico García Lorca (1898-1936), assomiglia alla magistrale e temeraria entrata dell’abile surfista nella galleria d’acqua provvisoria dell’onda ‘perfetta’, fino a percorrerla tutta prima del suo rovescio sulla superficie marina.

Gli aranci sono in riferimento alle terre calde che li producono, terre assolate dove gli inverni sono miti come la nostra Italia del Sud, le regioni mediterranee, piuttosto che la Spagna dove sul finire dell’Ottocento nacque, nei pressi di Granada in Andalusia (zona della Spagna meridionale) colui che divenne il poeta e non solo, Federico García Lorca, della vita con tutte le sue inquietudini soprattutto imbevuta di pianto e di sangue, di paesaggi coi suoi fiori frutti e plurimi colori, di giustizia mancata e di surrealismo che s’andava affermando in quegli anni del secolo moderno – lo scrittore andaluso fu amico fraterno dell’artista catalano inquieto e stravagante surrealista, Salvador Dalì, a cui destinò la sua prosa poetica titolata Ode a Salvador Dalí.

La menta perché probabilmente in mezzo a tanta inclemente arsura di terre infuocate dai raggi solari, essa come erba aromatica rappresenta la freschezza dei luoghi umidi dove nasce e così la figura eroica-letteraria dello stesso Lorca si staglia dal gruppo dell’oltre la decina di liriche che il poeta Lorenzo Spurio ha composto per Egli, morto prematuramente all’età di trentotto anni e che fece parte della memorabile “Generazione del ‘27” all’indomani dell’instaurazione del regima franchista contro la Repubblica dando il via alla guerra civile durata fino all’aprile 1939; cosicché il 19 agosto 1936 venne crudelmente fucilato il poeta Lorca dai sostenitori del dittatore Generale Francisco Franco (solo dopo la morte di quest’ultimo nel 1975 finalmente la produzione letteraria di García Lorca ha potuto meritare la divulgazione e il mondiale riconoscimento) a qualche chilometro da Granada, allacciandosi idealmente al celebre dipinto del precedente artista spagnolo ritrattista della famiglia reale di Carlo V, Francisco Goya, del 1814 titolato Fucilazioni del 3 maggio.

Dicevamo della rassomiglianza con l’immagine del provetto surfista perché i versi di Lorenzo Spurio diffondono un equilibrio perfetto in sintonia con quelli di Federico García Lorca: nel versificare la territorialità, gli ambienti caldi andalusi di Lorca il poeta delle Marche s’è unito all’universale respiro letterario ardente lorchiano fatto di attimi stillanti musicalità, dramma, simbolismo, surrealismo, ermetismo, passione lacerante e lacerata da improvvisi colpi di scena tra cui, fra i tanti, la morte per ferimento alle cinque della sera durante l’esibizione tipica spagnola, la corrida, dell’altro suo carissimo amico torero Ignacio Sánchez Mejías, a cui dedicò una lunghissima struggente poesia (1935), divisa in quattro parti, carica di valori correlati alla vita stessa fatta di dolore e di lotte.

Così ha composto il poeta Spurio in relazione a quell’episodio: «[…] Nelle tribolazioni invereconde e nella polvere/ paraventi di luna che fugge alla notte/ incunaboli di dolore in tabernacoli di pianto/ il fluido rosso fondamento di sacrificio.// Nelle cuevas gitane l’umidore sembrò placarsi;/ quella sera la luna non si presentò/ talmente impaurita preferì nascondersi/ ma alle cinque, tu, dov’eri? » (Dalla poesia La luna si nasconde, pagg.18-19).

Per comprendere appieno i testi poetici della silloge in questione dell’autore iesino, bisogna prima conoscere la breve eppure complessa esistenza del poeta Federico García Lorca, che crebbe in una famiglia dove non c’erano problemi economici dato che il padre era un ricco possidente terriero e la madre, seconda moglie, era insegnante ma di salute cagionevole per cui il piccolo Federico venne allattato dalla moglie del responsabile di un’azienda agricola, che aveva il compito di controllare i subalterni, e forse soprattutto per questo il poeta da adulto divenne il propugnatore del concetto d’uguaglianza tra gli uomini: dai gitani ai negri, agli ebrei, alla gente più umile…

La madre lasciò l’insegnamento per dedicarsi con cura all’educazione del figlio, trasmettendogli l’amore per la musica (il pianoforte) e stimolandogli una grande sensibilità, anche perché Federico García Lorca nacque sotto il Segno zodiacale d’Aria dei Gemelli, il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros, votato alla parola, ai viaggi, alla curiosità, al protagonismo con già una platea interiore pronta ad applaudirlo, all’amicizia, alla novità sotto tutti i punti di vista.

La corrente surrealista, in ambito artistico e letterario, si fece largo dopo il primo decennio del Novecento in Francia, a proposito del poeta scrittore critico d’arte, Guillaume Apollinaire (1880-1918), che usò per primo il termine sur-réalisme e man mano entrarono a farne parte le teorie inerenti l’inconscio grazie specialmente alla psicoanalisi di Sigmund Freud, l’immaginazione liberata dalla ragione, la casualità, il sogno e in Spagna uno dei più importanti pittori surrealisti fu, appunto, Salvador Dalí, ammiratore sin dall’epoca universitaria di Lorca, il quale prima si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza poi passò a quella di Lettere, insieme al regista Luis Buñuel e un’altra importante amicizia di García Lorca fu quella col poeta cileno Pablo Neruda, più giovane di lui di sei anni e che visse fino al 1973, conosciuto a Buenos Aires e rivisto a Madrid nell’ultimo paio d’anni della sua breve esistenza.

Federico García Lorca fece anche molto teatro – andò in giro per i villaggi sperduti della Spagna con la compagnia teatrale ambulante La Barraca – scrivendo opere ispirate agli usi e costumi della sua Spagna fortemente legata alle tradizioni punzonate dalla condizione di subalternità della donna, le tragedie familiari dovute anche alla difesa dell’onore, le promesse da mantenere, l’amore contrastato e la morte sempre in agguato, che poi negli ultimi tempi evolse in una drammaturgia difficile da rappresentare perché assorbito dal mulinello surrealista.

«[…] La mia dimora è l’ambiente, l’anziano ulivo,/ l’oliva e la screpolata corteccia, la radice/ magnifica e atroce e la foglia a forma di lancia:/ cercatemi là, non lontano dal limoneto nauseante/ dove sosto ad abbeverarmi del nettare acido/ per tornare a vagare nei dintorni confusi/ e abitare smanioso ogni luogo del campo. » (Dalla poesia Non lontano dal limoneto, pagg.49-51).

 

Isabella Michela Affinito

 

 

 

 

 

 

sabato 8 novembre 2014

Gabriella Pison su "Neoplasie civili" di Lorenzo Spurio

Nota critica a Neoplasie Civili di Lorenzo Spurio
A CURA DI GABRIELLA PISON

Credo che gli uomini abbiano perso la capacità di sperare, di incrociare gli sguardi per guardarsi vicendevolmente negli occhi, per sentirsi meno soli, così nei versi di Lorenzo Spurio:
si aspettava una folata di fumo
come un segnale tribale
e intanto il mondo lottava
e la gente si dava la morte
in ogni angolo del pianeta

Come ne “Il fiore giallo” se gli uomini riuscissero a sintonizzarsi sulle emozioni degli altri, per farle proprie, per armonizzarsi con l’universo e sentirsi una scintilla nel microcosmo, godrebbero del privilegio di sentirsi parte di un tutto e non un elettrone sfuggito al alle casualità del fato:

Di colpo mi son chinato a terra
e al margine di un marciapiede
ho colto un fiore giallo
cresciuto lì, forse per sbaglio

e con timore sospetto che il Cielo sia vuoto di rassicuranti convinzioni, Spurio affida al capriccio del destino, tra disperazione e speranza, l’anelito ad una visione di trionfo del Bene:

Ho odorato ancora il fiore
accorgendomi che esalava tristezza
e bisogno d’amore

anche se profetizza l’impossibilità a vedere una luce in “Ridicolous Job Act”
o  quando con il comandante oceanico
rabbuiato per la sua colpa
accoltellava l’umanità di angoscia
con il traghetto-catafalco
ricorda il tragico ed evitabile naufragio al largo della Corea del Sud.

Il misurarsi con le tragedie delle quotidianità gli consente forse di esorcizzarne i tratti, pur conservando la drammatica consapevolezza di trovarsi di fronte a laceranti geometrie, crepuscolari deliri nella solitudine che annichilisce e che ricorda Primo Levi in Se questo è un uomo:” L’uomo, ogni singolo uomo, è solo. Nessuno lo può aiutare. I legami di sangue sono svaniti, le amicizie non sussistono. Dio, in un momento tale, non esiste. O è molto lontano”
Così il nostro poeta, in Neoplasie civili, riscopre la sconfitta dell’uomo inerme di fronte alla certezza della sopraffazione, come in
Quando nel mondo si spara,
Gea si occulta la vista
e corre ad occhi serrati
verso rovi e sterpi acuminati
per accecarsi

 Alla fine forse solo l’affermazione del  proprio io su tutto ciò che sta intorno, garantisce  la propria inviolabilità, in un gioco di apparenti contrasti, dove la fuga ritaglia lacerti di salvezza, sia un sogno o una speranza: la morte come avventura della ragione, certezza metafisica di chi comprende quanto tutto sia incerto:

Sconvolto correvo per le vie,
allungavo la falcata
e correvo
sempre più veloce,
correvo…

…la vita mi scorciò per sempre.
Ora son gl’altri
a cantar le mie pene.
Forse

Una freschezza adolescenziale nei versi di Spurio calibrati da una scelta originale delle parole e dei contesti, vibrati da una emozione che cerca di mascherarsi nella penombra di riferimenti nietzschiani, dove l’uomo si libera da ogni forma di trascendenza, arrendendosi al non senso oltre l’essere

Riflettei sulla storia
che raggruma cancrene
e che defluisce in sbocchi
e che mai riporta la vittoria

e l’avventura della ragione sembra proteggere l’assurdo del non voler alzare gli occhi al cielo per paura di dover credere

inghiottivo veloci preghiere
sconclusionate, sorte per caso
e affinché non prendessero il sopravvento,
m’aggiravo per la casa
bestemmiando un qualcuno

Ma si tratta di vivere e pensare con questo strazio: per Lorenzo che con l’acutezza della luce intellettuale sembra surrogarsi nel pensiero di Camus quando ipotizza che il senso delle cose sia  irrimediabilmente perduto e che  l'uomo sia solo con il proprio desiderio di comprensione è un attimo in cui si smarrisce, in cui le immagini si dissolvono una nell’altra, esiste la possibilità di dare un senso all’esistenza

La battaglia si vince solo intentandola.

anzichè

Il mondo, un luogo di transito in cui la voce del ribelle deve farsi corale, anche se non si attende risposte

Negli interstizi della realtà che continua a scorrere, si avverte il tormento, che va oltre la monade della materia, e che si spinge verso un regno dove qualcosa salva dal disfacimento e dalla finitezza umana, con impressa nell’adynaton la tensione verso l’elevazione dello spirito:
Cristo si stropicciava gli occhi
in un Golgota di cartapesta,

ma “In cattedrale si suicida uno scrittore”
per sdegnare il tormento
di gravosi e disoneste leggi
contro-natura, che spaccano
la Sacra Famiglia
e demoralizzano il tragicomico
della vita d’oggi
passando per la farsa
e riducendo tutto in burle

ispirandosi allo scrittore francese Dominique Venner, suicida in Notre Dame, che annotava disperato come per scuotere il mondo dalla la letargia siano necessari e vitali gesti capaci di scuotere le coscienze risvegliando la memoria delle nostre origini, Lorenzo Spurio entra nell’anima, nelle sue galassie, nelle sue tensioni profetiche e quella che appare una fuga dalla speranza si fa catarsi del marchio di Caino:

Lo sprezzante
caudillo
era stato messo in ginocchio
non da armi o minacce,
ma dall’inesorabile esistenza.

Così Lorenzo gioca la sua poetica tra dirompenze metonimiche, intonazioni solenni,  lucide e crude esegesi, con analisi abbaglianti come squarci di sole nel Kali yuga della ragione: illuminazione caravaggesca prestata alle parole.

Gabriella Pison
Trieste, 19/10/2014


mercoledì 24 settembre 2014

Le poesie di Lorenzo Spurio contenute in "Neoplasie civili" recensite da Marzia Carocci

Recensione a “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio 
(Agemina Edizioni)

a cura di Marzia Carocci

Nessun titolo, poteva essere più indicativo di questo: “neoplasie civili”, tumori e metastasi di una civiltà malata, contorta, deviante.
Lorenzo Spurio, attraverso questo suo itinerario poetico, mette in evidenza l'osmosi di un tempo dove l'umano è fautore dell'errore, del male, dell'ingiustizia.
Ogni sua lirica ci indica quelle piaghe che rendono il nostro modo di vivere, cicatrici di egoismi e di soprusi, di illegalità e di crudeltà.
Spurio non si allontana mai da una verità che al lettore può far male perché vera e vissuta come spettatori di un tempo fuorviante dove non c'è spazio per l'onestà, per la solidarietà e per la comprensione.
L'uomo si inerpica da sempre per predominare e da sempre si concentra su l' egocentrismo dove mai da spazio al sentimento se questo non fa parte del proprio io, anzi schiaccia il debole, il dimenticato, l'emarginato.
Lorenzo Spurio sottolinea con pathos di forte coinvolgimento, gli eventi del nostro tempo facendone cronache/poetiche dove la parola ben scelta, avvalora ed esalta le particolarità, sia che si tratti di razzismo, di guerra, d'immigrazione, di violenza, di pedofilia, di mala/politica; egli non abbassa mai il proprio rammarico, anzi, lo urla, lo intensifica, lo evidenzia attraverso un linguaggio poetico dove la metafora porta in alto l'essenza di un pensiero ben ancorato che piano piano, attraverso un'attenta lettura, entra nel nostro stesso corpo dove la rabbia, l'impotenza e la vergogna ci fanno partecipi e spettatori di un mondo che ci appartiene e che si ritorce contro noi stessi attraverso quella freddezza che è ormai diventata parte del nostro vivere quotidiano. Le poesie di questa silloge, parlano e rigettano quelle neoplasie che si estendono a macchia d'olio dove l'uomo ha ormai deciso di sopraffare e di stuprare ogni bene, ogni giustizia, ogni buona causa; cancri maligni che bruciano ogni cellula di costruzione, di pace, di condivisioni sociali dove il potente decide e l'ultimo, il diverso, l'umile, si piega .
Lorenzo Spurio, non è solo un buon narratore ed un ottimo critico letterario, ma un poeta che dell'idioma coglie l'importanza e ne fa mezzo d'informazione mantenendo comunque, l'emozione e la sensibilità che è parte di un cammino letterario/ poetico stesso.
Una lettura che si fa riflessione, analisi e ragionamento dove la poesia parla, informa e diventa forza e stimolo ad un cambiamento, ad una rivoluzione pacifica ma allo stesso tempo incitazione a una ribellione di pensiero, di metamorfosi affinché vi sia positivo cambiamento e che ciò diventi cura dell'uomo e dei suoi mali dove ogni neoplasia si sciolga e si disperda per sempre! 


Marzia Carocci


Firenze, 21-09.2014

domenica 3 novembre 2013

Michela Zanarella: la poetessa delle immagini e dei sentimenti

Con immensa emozione pubblico la mia recensione alla silloge poetica di Michela Zanarella:  L'Estetica dell'Oltre.

Michela è una poetessa affermata e pluripremiata, a me particolarmente cara. Umanità e sensibilità: "oltre" il tutto.






Michela Zanarella, la poetessa delle immagini e dei sentimenti per eccellenza, così amo definirla dopo aver letto e apprezzato la sua nuova silloge: L’Estetica dell’Oltre, edita da David and Matthaus S.r.l. divisione ArteMuse per la collana Castalide, un progetto editoriale caratterizzato da una particolare cura per la qualità grafica e l’accuratezza delle prefazioni. La nuova silloge incrementa il suo già significativo curriculum poetico, ricco di pubblicazioni e numerosi riconoscimenti letterari che presentano la poetessa quale artista affermata e pluripremiata.
Estetica, dal greco αισδεσισ (aisthesis) nel linguaggio semantico è la “percezione sensoriale”, una mediazione del senso che, abbinata alla preposizione-avverbio “oltre”, lascia già intuire il profondo messaggio contenuto in questa raccolta di poesie. Nella silloge L’Estetica dell’Oltre, Michela Zanarella conferma un’evidente evoluzione: Attorno al sisma del destino/cerco le mie ali… inizia la raccolta con versi sulle origini della vita: nell’utero elastiche origini…/ ho appreso come suonano/sembianze di luce… evidenzia lo sguardo sul fluire del tempo, fissa il divenire: essere nel tempo/che ti sfoglia/corpo e distanza, si concentra su una via esplorativa del sofferto passaggio terreno e, nella contemplazione del silenzio: camminano i silenzi/nel guscio della vita… osserva la grazia e il fascino della natura, ritrova l’equilibrio dell’anima, in cui si riflette la bellezza divina che svetta oltre la misera condizione umana. Parole intense e allo stesso tempo delicate, si susseguono irradiando vibranti emozioni, formano un tessuto compatto dove persino tecnica e forza poetica rimangono costanti. La maturità stilistica della poetessa si realizza nella successione ritmica di suoni e armonia che donano melodia e squisita eleganza ai suoi versi, le tante sfumature metaforiche contribuiscono alla musicalità della lettura.
Michela Zanarella, ispirata dall’eterna musa della poesia, evoca ed esalta con i suoi versi i sublimi valori dello spirito, gli stessi elementi naturali quali il cielo, il mare, la luna e le stelle si manifestano quali entità spirituali e proiettano le nostre emozioni nelle regioni inesplorate della nostra anima, la sola capace di stimolare noi tutti a incarnare sulla terra una forza, una qualità, una virtù o un'idea che abita il mondo divino. Michela è consapevole che la nostra presenza sulla terra rappresenta un “guscio” di vita, si rivolge al padre perché si renda tramite presso Dio per una richiesta di comprensione, d’illuminazione e di protezione: chiedi alla sorte/che forma ha la vita/se esiste un cielo che ci spetta/una pioggia che lava le insidie. Una tale ricchezza d'immagini è giustificata dall’immediatezza piena in ogni esperienza estetica, visioni che le permettono di respirarne l’atmosfera, con il tatto del cuore accoglie il significato velato della realtà inattingibile. Sono certa che la sua poesia sia un viaggio attraverso le esperienze vissute, dove i sensi nella loro materialità e corporeità hanno un’attitudine intrinsecamente spirituale. Credo fermamente che una simile creatività poetica non abbia guide o maestri specifici, bensì nasca da una propria identità, maturata ed evoluta in un tragitto di vissuto che la poetessa ha approfondito con coraggio, metodo, serenità e volontà. In questa silloge, Michela Zanarella tocca temi molto importanti quali il destino, la solitudine, l’amore; si rivolge all’universo, si affida all’innata sensibilità, non dimentica mai i luoghi natii e tutto il genere femminile, sempre pronto a non temere/ il peso del mondo. I versi lasciano intravedere la luce e il superamento del nostro nulla di fronte alla vastità dell’Oltre. Non ci è concesso di procedere al di là di certi confini, laddove “vive l’infinito” eppure la poetessa ci stimola a farlo, perché l’anima informa il corpo e trova la sua perfezione al di là della realtà materiale, soggetta a corruzione: dentro l’insistente avidità di un mondo/che impedisce gli sguardi/di Dio. Non posso certamente tralasciare la religiosa umanità di Michela che la rende sempre partecipe nella condivisione della perdita di una persona cara, a tal punto da plasmare versi che rappresentano autentiche dediche nel ricordo di grandi personalità della letteratura poetica quali Alda Merini: la cui poesia ripete il mondo/ e le sue origini, Pier Paolo Pasolini: quel tuo non temere/ la notte/nel lampo che ti donò/all’inganno… o cari amici: e tu che hai lasciato/il bordo della vita/nel timore del cielo/dal cerchio dell’eterno/fissi il colore degli Arara… ti sappiamo sereno/nel silenzio che sporge dalle nuvole…
Ogni cosa scorre, è: un gocciolare di memorie/agli angoli del tempo. È nella forza del suo messaggio che la poesia di Michela Zanarella si presenta quale espressione viva di estro creativo, la vita può ancora sgorgare anche quando il destino, inteso come valore principale di fissità, sembra sommergere tutto e diviene un far risuonare in sé, nella vibrazione della compassione, la voce della sofferenza altrui. La certezza della verità è legata alla purezza di chi la indaga poiché se ne è dotato, sarà la stessa capacità intuitiva a rendere visibile quanto ancora rimane irraggiungibile. Nelle poesie di Michela Zanarella la sensazione visiva è diversa da quella normale degli occhi, i colori sono come ravvivati da una luce che non abbaglia ma ancora una volta esprime vita.
La lettura attenta di ogni suo verso non può che emozionare, e trasmettere solarità, ogni parola sprigiona carisma, una virtù speciale e personalissima di questa “nostra” poetessa alla quale rivolgo un sentito plauso e un augurio sincero per un ampio successo presente e futuro.





Susanna Polimanti



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venerdì 30 agosto 2013

"La cucina arancione" di Lorenzo Spurio, recensione di Ilaria Celestini


Recensione a “La cucina arancione” di Lorenzo Spurio

 (TraccePer LaMeta Edizioni 2013)

 

di Ilaria Celestini

La cucina arancione è una raccolta di venticinque racconti di Lorenzo Spurio, giovane e valente scrittore marchigiano, che a soli ventotto anni possiede un nutrito curriculum letterario: critico letterario e recensionista, saggista e autore di monografie sulla letteratura inglese, direttore della rivista Euterpe, curatore del sito BlogLetteratura e Cultura, collaboratore autorevole di numerose riviste di settore, membro di giuria di prestigiosi concorsi di poesia e narrativa.

Colpisce, nella raccolta qui considerata, in primo luogo la capacità matura di analisi e di osservazione degli aspetti umani che solitamente la personalità razionale e integrata, che nel linguaggio comune si suole definire 'normale', mette a tacere e nasconde, come la polvere che si occulta sotto il tappeto.

Queste brevi storie, con grande coraggio, portano alla luce il nascosto, il sommerso, che è nei protagonisti e in fondo, potenzialmente, dentro ciascuno di noi.

E' un libro coraggioso, soprattutto nell'uso linguistico di espressioni forti e di descrizioni che nulla concedono alla retorica e al moralismo; un affresco della società contemporanea con le relative alienazioni, in cui il senso della sacralità della vita, dell'amore e della persona è assente, in maniera assoluta.

E là dove questa o qualsiasi altra pregnanza di significato non c'è, l'umanità viene meno, e lascia il posto a emblemi, come forse lo stesso Autore sembra suggerire nell'Introduzione, in cui dichiara di non aver voluto rappresentare 'persone', ma 'personaggi'.

Nelle pagine di questo testo, infatti, troviamo una interessante galleria di 'non-persone', di tipi umani e di simboli, di archetipi in senso junghiano.

Nella desolazione urbana fatta di palazzi fatiscenti nei quartieri degradati, così come negli interni borghesi, dove convivono agiatezze materiali e solitudini morali, si svolgono, a opera di questi personaggi-stereotipi, emblemi dell'assenza di senso, episodi di pulsioni ossessive e inconfessabili, agiti compulsivi, sessualità degradata a livello di perversione; sono ambienti dove tutto ciò che non dovrebbe neppure essere pensato, in una logica di tipo comune, o benpensante, e dove tutto quello che non dovrebbe accadere, accade.

E così il padre di famiglia, uomo ormai maturo, si ritrova a pensare con nostalgia, intrisa di ossessioni onanistiche, alla libertà degli anni giovanili, in cui poteva stare per ore o addirittura giornate intere con se stesso, per regalarsi indicibili piaceri solitari (Con la chitarra in mano).

Analogamente, i piccoli teppisti in erba, non paghi di seviziare innocenti animali, vagheggiano di provocare una sciagura stradale e fantasticano sul godimento che procurerà loro un simile spettacolo, per poi restare annichiliti di fronte alla realtà di quanto accade veramente (Signor Johnny).

O anche, un'inappuntabile madre di famiglia, fa incetta di frutti che non consuma e che lascia a marcire, ritenendo che le tengano compagnia (Al negozio cinese), mentre un giovane, chiaramente identificabile come il tipico tranquillo ragazzo della porta accanto, ama cibarsi compulsivamente di briciole d'intonaco raschiato dai muri e terriccio (Il muro scrostato).

In questo mondo dove l'umano è degradato al ferino, l'altro diviene cosa, oggetto; e nella reificazione della persona, il rapporto di coppia è un becero incontro di due solitudini, come nel racconto che offre il titolo al libro, in cui lo scambio affettivo tra i due protagonisti è ridotto al mero livello coitale, con connotazioni masochistiche e sadiche che si alternano, in un crescendo che culmina nel finale grottesco.

E' un affresco, questo libro, che illustra una dimensione di regressione primordiale, di istinti che emergono prepotentemente sino a esplodere, come nel caso del figlio di un genitore mutilato sul lavoro e schiacciato dalla vita, ma anche dal cinismo di chi avrebbe dovuto aiutarlo, che si erge a giustiziere lucido e inesorabile (Questioni di uguaglianza); oppure, la passione si trasforma in una rabbia silente e furiosa, che cova nel tempo come fuoco sotto la cenere, per cui la casalinga di mezza età, frustrata e tradita dal marito, medita la propria vendetta sul consorte infartuato (Quelle conferenze); o anche, last but not least, l'entità individuale si frantuma sino a perdersi completamente, come nel caso del personaggio che non vuole uscire di casa, perché teme di perdere se stesso (L'ordigno inesploso).

Un libro che non si dimentica; sono pagine che suscitano emozioni forti, in cui è possibile cogliere almeno in nuce aspetti che giacciono dentro di noi e nel mondo che ci circonda.

Pagine che possono sgomentare, per la nitidezza delle descrizioni; in cui si coglie, sempre, l'abilità dello scrittore, che narra senza giudicare, senza indicare soluzioni facili o pietosi lieti finali.

I personaggi descritti sono casi patologici, alieni al contesto in cui vivono come a se stessi; e al tempo stesso sono così naturali, così immediati, nel loro agire d'impulso, senza remore, da riuscire a toccare estremamente in profondità le corde dell'anima del lettore, nella loro solitudine e totale incomunicabilità, condizione che è sì individuale e propria dei vari archetipi qui rappresentati, ma che è anche comune e generale, in senso esistenziale, e per questo affascina, come l'abisso che ci fa orrore, e nel contempo ci attrae, perché c'induce a guardare senza pudori o velami quel che è dentro di noi.

ILARIA CELESTINI

 

Brescia, 26 Agosto 2013

mercoledì 21 agosto 2013

Monica Pasero recensisce "La cucina arancione" di Lorenzo Spurio


La cucina arancione di Lorenzo Spurio  
TraccePerLaMeta Edizioni, 2013
Genere: raccolta di racconti
Link diretto all'acquisto

Recensione a cura di Monica Pasero

     Quando la ragione cede

 il passo alla follia

Leggendo La cucina arancione, il nuovo libro di  Lorenzo Spurio, devo ammettere di essermi trovata in leggera difficoltà nel comprendere e soprattutto accettare ciò che stavo leggendo. La mia razionalità ha cozzato parecchio con la fantasia dell’autore.

 Per questo, dopo le prime pagine lette con troppa emotività , ho deciso di vivere  la lettura con più distacco, rivalutando così il suo contenuto. Mi sono detta: vedrò il tutto da un’altra prospettiva.

È stata un’ottima idea, questo tipo di approccio mi ha portato finalmente a godere della lettura  fino all’ultima pagina. Ecco perché consiglio di leggere questo libro con distacco, per poter vivere appieno i suoi contenuti, senza per forza giudicare troppo le scelte dei personaggi della storia. Fin dalle prime pagine mi sono trovata innanzi ad una scrittura scorrevole, mai banale. Nonostante i temi trattatati fossero forti, Lorenzo Spurio con la sua bravura è riuscito a non farmi mai scappare, ad incatenarmi alla lettura, incuriosendomi fino alla fine. Su ogni storia narrata  si potrebbe dibattere per ore. Spunti di riflessione ve ne sono davvero tanti. Ogni personaggio ci racconta una parte intima di se stesso, facendoci entrare  nei meandri della sua psiche, quasi sempre malata, in cui dà libero sfogo alle sue ossessioni e alle fobie più svariate, condizionando spesso in negativo non solo la sua esistenza, ma anche quella di chi gli sta accanto. L’Autore in queste righe le lascerà emergere prepotentemente, enfatizzando ogni storia, attraversando così quel confine dove la logica cede il passo alla follia. Dona infine al lettore una  visione totale di ciò che potrebbe accadere in un soggetto psichicamente instabile, pervaso dal suo stesso pensiero.

Tutti noi abbiamo piccole ossessioni e manie che fanno parte da sempre della natura umana, molto spesso fortunatamente mitigate dalla razionalità e dal buon senso, che solitamente ci accomuna, tutelando così le nostre vite. Ma se queste manie prendessero il sopravvento sulla nostra ragione? Che cosa accadrebbe? Per scoprirlo non dovete far altro che leggere questa raccolta in cui l’A. ci regala una vastissima carrellata di situazioni dove l’ossessione domina la ragione e ci dà modo di riflettere su quanto spesso la psiche possa renderci schiavi di noi stessi.

Monica Pasero

venerdì 7 settembre 2012

Lorenzo Spurio recensisce "Mostri" di Ivan Pozzoni


Mostri. Poveri diavoli, chimere e altre storie
di Ivan Pozzoni
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2009
Collana: Ardeur
ISBN: 9788895881126
Numero di pagine: 112
Costo: 15,00 €

Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore


«Pozzoni non ci sta a questo gioco all'ipocrisia collettiva che va di moda nel nostro paese, dove si parla di: crisi non-crisi, poesia etica, poesia mitica, fine del realismo, poesia del quotidiano, autobiologia in poesia etc. e chi più ne ha più ne metta. Siamo nella confusione babelica di tutte le lingue e di tutte le maniere» (Giorgio Linguaglossa)


Ivan Pozzoni è un uomo che ha poesia nel cuore e che si dedica a questo genere da vari anni. Numerose le sue pubblicazioni di sillogi poetiche e le curatele ad altrettante antologie di poesia. Collaboratore instancabile di varie riviste letterarie e poetiche nazionali e internazionali, è anche Direttore Culturale della Limina Mentis Editore.  Sono qui oggi a parlare della sua silloge Mostri, edita dalla Limina Mentis nel 2009. La poesia non invecchia mai e quindi non ha senso dire che di norma si recensiscono le pubblicazioni più recenti, dato che ne sono seguite diverse dopo questa.
Mi sono trovato in difficoltà nell’articolare un discorso critico su questa ampia silloge di poesie che l’autore ha voluto dedicare ai “Mostri”; niente di supernaturale o di eroico, tutt’altro. I mostri che “zitti zitti/ s’avvicinano” (pp. 23-24) a cui fa riferimento Pozzoni, mi pare di capire, sono nella nostra contemporaneità, celati, dietro l’angolo e si concretizzano nelle paure, nelle ossessioni e nella spregiudicatezza dell’oggi dove le uniche religioni sono il narcisismo e il consumismo.
La poesia di Pozzoni è vivida, materica, viscerale. Rifugge la retorica, gli orpelli, per descrivere in maniera quanto mai metaforica e analogica una realtà preoccupante, spersonalizzante, che ha perduto ormai i valori. Ma è anche una poesia altamente evocativa e poliedrica: pessimista, utopica, delirante, grottesca, inconsueta. E’ tutto questo allo stesso tempo. Risiede proprio in ciò la ricchezza espressiva di Pozzoni e la sua continua capacità di rinnovarsi, di riscriversi, di osservare il mondo da un’altra prospettiva.
In “Per me, scrivo!” è chiarito il destinatario delle sue liriche: non il mondo esterno, non la natura, non la donna amata. Il poeta scrive per se stesso, egoisticamente: “Per me, scrivo/ immergendo/ i miei mille incubi/ nell’acido muriatico,/ dissodando sogni,/ scaricando rogne,/ disinnescandomi” (p. 26).
Evidente l’intento polemico e critico della poesia di Pozzoni, quasi “elettrica” come quella dei futuristi della prima stagione: rifugge il passatismo, il manierismo e la costumanza retorica e classica che anche i nuovi poeti continuano a esprimere con le loro liriche: “denuncio poetiche/ copiate su carta carbone,/ sempre uguali, mansuete,/ innocue, stampate in/ catena di montaggio/ dai nostri giovani letterati”(p. 27). Pozzoni sta dicendo che nella poesia contemporanea non c’è originalità, né sperimentazione e che i nuovi poeti (o quelli che si auto-nominano così), in fondo non sono che copie sbiadite di altri poeti che in altri tempi furono grandi ma la cui poetica, ormai, non è più attuale e conforme alle inclinazioni dell’uomo d’oggi. E’ una denuncia, è una critica, ma è anche una perorazione a cambiare, a svegliarsi,  a rinnovarsi, a crearsi un proprio stile. Ecco perché lui stesso osserva “Nei miei versi/ da coyote arrabbiato/ non dominano interessi/ a stili coerenti” (p. 27). E ancora, l’affondo di Pozzoni: “non me ne/ frega un cazzo” (in “Cinico e bastardo”, p. 33) dove a questi versi segue una lista di cose che al poeta non interessano più o che forse non l’hanno mai interessato. Il suo è un percorso caotico e convulso, un fuggire dalle semplici cose. C’è posto anche al ricordo in questa silloge: “Felice adolescenza,/ consumata in risate,/ scherzi e battute/ […] nelle notti insalubri/ di vodka e bestemmie” (in “Roaccutan”, p. 29)
Ma la poesia di Pozzoni è un panegirico d’analisi critica e polemica dei nostri tempi, imbevuta di un leggero drammatismo. Non c’è un modo particolare per accostarsi ad essa perché il poeta non ha una forma, né un genere “tipo” dal quale parte: la sua, in effetti, è una continua sperimentazione dalla quale nascono costruzioni atipiche e difficili da immaginare: “tasso/alcolico di nuvole” (p. 37), stridenti: “camminando scalzo/ tra rose, e carcasse/ di tonni” (p. 42), che hanno perduto un’identità: “iene senza coglioni” (p. 46) o addirittura che usa a suo modo l’isotopia del sessuale: “Cazzo,/ sabbia di luna/ sodomizzata/ dall’asta immota/ d’una bandiera” (p. 50) che ci obbligano a domandarci se, leggendo queste poesie, manteniamo ancora saldi i piedi su questa Terra. Pozzoni ci fornisce in alcuni tratti un’immagine dissacrante del mondo d’oggi, fondato sulla religione dell’egoismo e del consumismo: “la società del disimpegno/ tenuta insieme, tenuta a bada/ da litri e litri/ di crema abbronzante e di collagene” (p. 47). E’ una società narcisistica che si copre di una patina protettiva e che pure utilizza la medicina ricostruttiva per cercar di mantenere una certa parvenza e di rifuggire l’invecchiamento.
Nella lunga poesia “Apocalisse” che chiude la seconda sezione della silloge dal titolo “Chimere”, incontriamo un Pozzoni irruento e sfiduciato, ma anche debole e privo di speranza che lancia una minaccia che allo stesso tempo è un desiderio: “Quando tutto sarà/ finito manderemo all’aria/ ‘sto mondo di merda,/ e tutti i bastardi/ che ci stanno dentro,/ con la nostra soddisfazione.” (p. 82). Vedremo se Pozzoni ha intuito correttamente quello che sarà il nostro ultimo destino.



Chi è l’autore?
Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Si è laureato in diritto con una tesi sul filosofo ferrarese Mario Calderoni. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico.
Collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2012 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri, Galata morente e Carmina non dant damen con Limina mentis, Lame da rasoi, con Joker.
Tra 2009 e 2012 ha curato le antologie poetiche Retroguardie (Limina mentis), Demokratika, (Limina mentis), Tutti tranne te! (Limina mentis), Frammenti ossei (Limina mentis) e Labyrinthi (Limina mentis) e nel 2010 ha curato la raccolta interattiva Triumvirati (Limina Mentis). Tra 2008 e 2012 ha curato i volumi: Grecità marginale e nascita della cultura occidentale (Limina mentis), Cent’anni di Giovanni Vailati (Limina mentis), I Milesii (Limina mentis), Voci dall’Ottocento I II e III (Limina mentis), Benedetto Croce (Limina mentis), Voci dal Novecento I II III e IV (Limina mentis), Voci di filosofi italiani del Novecento (IF Press), La fortuna della Schola Pythagorica (Limina mentis) e Pragmata. Per una ricostruzione storiografica dei Pragmatismi (IF Press); come monografie sono usciti i suoi: Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press, 2009), L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Limina mentis, 2009) e Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche. I Presocratici (IF Press, 2012).
È direttore culturale della Limina mentis Editore; è direttore de L’arrivista - Quaderni democratici. In un’azienda della D. O. è logistico.


scrittore, critico-recensionista
Collaboratore di Limina Mentis Editore

24/07/2012

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