venerdì 7 settembre 2012

Lorenzo Spurio recensisce "Mostri" di Ivan Pozzoni


Mostri. Poveri diavoli, chimere e altre storie
di Ivan Pozzoni
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2009
Collana: Ardeur
ISBN: 9788895881126
Numero di pagine: 112
Costo: 15,00 €

Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore


«Pozzoni non ci sta a questo gioco all'ipocrisia collettiva che va di moda nel nostro paese, dove si parla di: crisi non-crisi, poesia etica, poesia mitica, fine del realismo, poesia del quotidiano, autobiologia in poesia etc. e chi più ne ha più ne metta. Siamo nella confusione babelica di tutte le lingue e di tutte le maniere» (Giorgio Linguaglossa)


Ivan Pozzoni è un uomo che ha poesia nel cuore e che si dedica a questo genere da vari anni. Numerose le sue pubblicazioni di sillogi poetiche e le curatele ad altrettante antologie di poesia. Collaboratore instancabile di varie riviste letterarie e poetiche nazionali e internazionali, è anche Direttore Culturale della Limina Mentis Editore.  Sono qui oggi a parlare della sua silloge Mostri, edita dalla Limina Mentis nel 2009. La poesia non invecchia mai e quindi non ha senso dire che di norma si recensiscono le pubblicazioni più recenti, dato che ne sono seguite diverse dopo questa.
Mi sono trovato in difficoltà nell’articolare un discorso critico su questa ampia silloge di poesie che l’autore ha voluto dedicare ai “Mostri”; niente di supernaturale o di eroico, tutt’altro. I mostri che “zitti zitti/ s’avvicinano” (pp. 23-24) a cui fa riferimento Pozzoni, mi pare di capire, sono nella nostra contemporaneità, celati, dietro l’angolo e si concretizzano nelle paure, nelle ossessioni e nella spregiudicatezza dell’oggi dove le uniche religioni sono il narcisismo e il consumismo.
La poesia di Pozzoni è vivida, materica, viscerale. Rifugge la retorica, gli orpelli, per descrivere in maniera quanto mai metaforica e analogica una realtà preoccupante, spersonalizzante, che ha perduto ormai i valori. Ma è anche una poesia altamente evocativa e poliedrica: pessimista, utopica, delirante, grottesca, inconsueta. E’ tutto questo allo stesso tempo. Risiede proprio in ciò la ricchezza espressiva di Pozzoni e la sua continua capacità di rinnovarsi, di riscriversi, di osservare il mondo da un’altra prospettiva.
In “Per me, scrivo!” è chiarito il destinatario delle sue liriche: non il mondo esterno, non la natura, non la donna amata. Il poeta scrive per se stesso, egoisticamente: “Per me, scrivo/ immergendo/ i miei mille incubi/ nell’acido muriatico,/ dissodando sogni,/ scaricando rogne,/ disinnescandomi” (p. 26).
Evidente l’intento polemico e critico della poesia di Pozzoni, quasi “elettrica” come quella dei futuristi della prima stagione: rifugge il passatismo, il manierismo e la costumanza retorica e classica che anche i nuovi poeti continuano a esprimere con le loro liriche: “denuncio poetiche/ copiate su carta carbone,/ sempre uguali, mansuete,/ innocue, stampate in/ catena di montaggio/ dai nostri giovani letterati”(p. 27). Pozzoni sta dicendo che nella poesia contemporanea non c’è originalità, né sperimentazione e che i nuovi poeti (o quelli che si auto-nominano così), in fondo non sono che copie sbiadite di altri poeti che in altri tempi furono grandi ma la cui poetica, ormai, non è più attuale e conforme alle inclinazioni dell’uomo d’oggi. E’ una denuncia, è una critica, ma è anche una perorazione a cambiare, a svegliarsi,  a rinnovarsi, a crearsi un proprio stile. Ecco perché lui stesso osserva “Nei miei versi/ da coyote arrabbiato/ non dominano interessi/ a stili coerenti” (p. 27). E ancora, l’affondo di Pozzoni: “non me ne/ frega un cazzo” (in “Cinico e bastardo”, p. 33) dove a questi versi segue una lista di cose che al poeta non interessano più o che forse non l’hanno mai interessato. Il suo è un percorso caotico e convulso, un fuggire dalle semplici cose. C’è posto anche al ricordo in questa silloge: “Felice adolescenza,/ consumata in risate,/ scherzi e battute/ […] nelle notti insalubri/ di vodka e bestemmie” (in “Roaccutan”, p. 29)
Ma la poesia di Pozzoni è un panegirico d’analisi critica e polemica dei nostri tempi, imbevuta di un leggero drammatismo. Non c’è un modo particolare per accostarsi ad essa perché il poeta non ha una forma, né un genere “tipo” dal quale parte: la sua, in effetti, è una continua sperimentazione dalla quale nascono costruzioni atipiche e difficili da immaginare: “tasso/alcolico di nuvole” (p. 37), stridenti: “camminando scalzo/ tra rose, e carcasse/ di tonni” (p. 42), che hanno perduto un’identità: “iene senza coglioni” (p. 46) o addirittura che usa a suo modo l’isotopia del sessuale: “Cazzo,/ sabbia di luna/ sodomizzata/ dall’asta immota/ d’una bandiera” (p. 50) che ci obbligano a domandarci se, leggendo queste poesie, manteniamo ancora saldi i piedi su questa Terra. Pozzoni ci fornisce in alcuni tratti un’immagine dissacrante del mondo d’oggi, fondato sulla religione dell’egoismo e del consumismo: “la società del disimpegno/ tenuta insieme, tenuta a bada/ da litri e litri/ di crema abbronzante e di collagene” (p. 47). E’ una società narcisistica che si copre di una patina protettiva e che pure utilizza la medicina ricostruttiva per cercar di mantenere una certa parvenza e di rifuggire l’invecchiamento.
Nella lunga poesia “Apocalisse” che chiude la seconda sezione della silloge dal titolo “Chimere”, incontriamo un Pozzoni irruento e sfiduciato, ma anche debole e privo di speranza che lancia una minaccia che allo stesso tempo è un desiderio: “Quando tutto sarà/ finito manderemo all’aria/ ‘sto mondo di merda,/ e tutti i bastardi/ che ci stanno dentro,/ con la nostra soddisfazione.” (p. 82). Vedremo se Pozzoni ha intuito correttamente quello che sarà il nostro ultimo destino.



Chi è l’autore?
Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Si è laureato in diritto con una tesi sul filosofo ferrarese Mario Calderoni. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico.
Collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2012 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri, Galata morente e Carmina non dant damen con Limina mentis, Lame da rasoi, con Joker.
Tra 2009 e 2012 ha curato le antologie poetiche Retroguardie (Limina mentis), Demokratika, (Limina mentis), Tutti tranne te! (Limina mentis), Frammenti ossei (Limina mentis) e Labyrinthi (Limina mentis) e nel 2010 ha curato la raccolta interattiva Triumvirati (Limina Mentis). Tra 2008 e 2012 ha curato i volumi: Grecità marginale e nascita della cultura occidentale (Limina mentis), Cent’anni di Giovanni Vailati (Limina mentis), I Milesii (Limina mentis), Voci dall’Ottocento I II e III (Limina mentis), Benedetto Croce (Limina mentis), Voci dal Novecento I II III e IV (Limina mentis), Voci di filosofi italiani del Novecento (IF Press), La fortuna della Schola Pythagorica (Limina mentis) e Pragmata. Per una ricostruzione storiografica dei Pragmatismi (IF Press); come monografie sono usciti i suoi: Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press, 2009), L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Limina mentis, 2009) e Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche. I Presocratici (IF Press, 2012).
È direttore culturale della Limina mentis Editore; è direttore de L’arrivista - Quaderni democratici. In un’azienda della D. O. è logistico.


scrittore, critico-recensionista
Collaboratore di Limina Mentis Editore

24/07/2012

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