sabato 8 novembre 2014

Gabriella Pison su "Neoplasie civili" di Lorenzo Spurio

Nota critica a Neoplasie Civili di Lorenzo Spurio
A CURA DI GABRIELLA PISON

Credo che gli uomini abbiano perso la capacità di sperare, di incrociare gli sguardi per guardarsi vicendevolmente negli occhi, per sentirsi meno soli, così nei versi di Lorenzo Spurio:
si aspettava una folata di fumo
come un segnale tribale
e intanto il mondo lottava
e la gente si dava la morte
in ogni angolo del pianeta

Come ne “Il fiore giallo” se gli uomini riuscissero a sintonizzarsi sulle emozioni degli altri, per farle proprie, per armonizzarsi con l’universo e sentirsi una scintilla nel microcosmo, godrebbero del privilegio di sentirsi parte di un tutto e non un elettrone sfuggito al alle casualità del fato:

Di colpo mi son chinato a terra
e al margine di un marciapiede
ho colto un fiore giallo
cresciuto lì, forse per sbaglio

e con timore sospetto che il Cielo sia vuoto di rassicuranti convinzioni, Spurio affida al capriccio del destino, tra disperazione e speranza, l’anelito ad una visione di trionfo del Bene:

Ho odorato ancora il fiore
accorgendomi che esalava tristezza
e bisogno d’amore

anche se profetizza l’impossibilità a vedere una luce in “Ridicolous Job Act”
o  quando con il comandante oceanico
rabbuiato per la sua colpa
accoltellava l’umanità di angoscia
con il traghetto-catafalco
ricorda il tragico ed evitabile naufragio al largo della Corea del Sud.

Il misurarsi con le tragedie delle quotidianità gli consente forse di esorcizzarne i tratti, pur conservando la drammatica consapevolezza di trovarsi di fronte a laceranti geometrie, crepuscolari deliri nella solitudine che annichilisce e che ricorda Primo Levi in Se questo è un uomo:” L’uomo, ogni singolo uomo, è solo. Nessuno lo può aiutare. I legami di sangue sono svaniti, le amicizie non sussistono. Dio, in un momento tale, non esiste. O è molto lontano”
Così il nostro poeta, in Neoplasie civili, riscopre la sconfitta dell’uomo inerme di fronte alla certezza della sopraffazione, come in
Quando nel mondo si spara,
Gea si occulta la vista
e corre ad occhi serrati
verso rovi e sterpi acuminati
per accecarsi

 Alla fine forse solo l’affermazione del  proprio io su tutto ciò che sta intorno, garantisce  la propria inviolabilità, in un gioco di apparenti contrasti, dove la fuga ritaglia lacerti di salvezza, sia un sogno o una speranza: la morte come avventura della ragione, certezza metafisica di chi comprende quanto tutto sia incerto:

Sconvolto correvo per le vie,
allungavo la falcata
e correvo
sempre più veloce,
correvo…

…la vita mi scorciò per sempre.
Ora son gl’altri
a cantar le mie pene.
Forse

Una freschezza adolescenziale nei versi di Spurio calibrati da una scelta originale delle parole e dei contesti, vibrati da una emozione che cerca di mascherarsi nella penombra di riferimenti nietzschiani, dove l’uomo si libera da ogni forma di trascendenza, arrendendosi al non senso oltre l’essere

Riflettei sulla storia
che raggruma cancrene
e che defluisce in sbocchi
e che mai riporta la vittoria

e l’avventura della ragione sembra proteggere l’assurdo del non voler alzare gli occhi al cielo per paura di dover credere

inghiottivo veloci preghiere
sconclusionate, sorte per caso
e affinché non prendessero il sopravvento,
m’aggiravo per la casa
bestemmiando un qualcuno

Ma si tratta di vivere e pensare con questo strazio: per Lorenzo che con l’acutezza della luce intellettuale sembra surrogarsi nel pensiero di Camus quando ipotizza che il senso delle cose sia  irrimediabilmente perduto e che  l'uomo sia solo con il proprio desiderio di comprensione è un attimo in cui si smarrisce, in cui le immagini si dissolvono una nell’altra, esiste la possibilità di dare un senso all’esistenza

La battaglia si vince solo intentandola.

anzichè

Il mondo, un luogo di transito in cui la voce del ribelle deve farsi corale, anche se non si attende risposte

Negli interstizi della realtà che continua a scorrere, si avverte il tormento, che va oltre la monade della materia, e che si spinge verso un regno dove qualcosa salva dal disfacimento e dalla finitezza umana, con impressa nell’adynaton la tensione verso l’elevazione dello spirito:
Cristo si stropicciava gli occhi
in un Golgota di cartapesta,

ma “In cattedrale si suicida uno scrittore”
per sdegnare il tormento
di gravosi e disoneste leggi
contro-natura, che spaccano
la Sacra Famiglia
e demoralizzano il tragicomico
della vita d’oggi
passando per la farsa
e riducendo tutto in burle

ispirandosi allo scrittore francese Dominique Venner, suicida in Notre Dame, che annotava disperato come per scuotere il mondo dalla la letargia siano necessari e vitali gesti capaci di scuotere le coscienze risvegliando la memoria delle nostre origini, Lorenzo Spurio entra nell’anima, nelle sue galassie, nelle sue tensioni profetiche e quella che appare una fuga dalla speranza si fa catarsi del marchio di Caino:

Lo sprezzante
caudillo
era stato messo in ginocchio
non da armi o minacce,
ma dall’inesorabile esistenza.

Così Lorenzo gioca la sua poetica tra dirompenze metonimiche, intonazioni solenni,  lucide e crude esegesi, con analisi abbaglianti come squarci di sole nel Kali yuga della ragione: illuminazione caravaggesca prestata alle parole.

Gabriella Pison
Trieste, 19/10/2014


Nessun commento:

Posta un commento