Recensione di Lorenzo Spurio
L’opera
s’iscrive in un denso percorso letterario che segue i precedenti lavori Aquiloni sul mare nella notte (CTL,
Livorno, 2017) e Addio ai girasoli (CTL,
Livorno, 2018) ed è la naturale prosecuzione di una lunga e convinta adesione
al Movimento del Realismo Terminale (il cui Manifesto venne redatto e siglato
dal Maestro Guido Oldani nel 2010) al quale ha fatto parte dall’ottobre 2017 al
settembre 2023.
La
Di Malta collabora attivamente da anni tanto con Oldani (che apre il nuovo
volume con una sua breve nota prefattiva) che con il professore Giuseppe
Langella, già ordinario di Letteratura Italiana all’Università Cattolica di
Milano, considerato uno dei maggiori “teorici” del Movimento.
Oldani
osserva che i testi della Di Malta “scorrono
negli spigoli dell’armonia, fra l’ossatura della poesia civile e l’umanitarietà
del singolo rapporto esistenziale” (7-8). Stile, immagini, concetti
prettamente realista-terminali, echi e linguismi particolari (compresi
esterofilismi) si coniugano in un dettato lirico prevalentemente asciutto e in
alcuni tratti ruvido, tendente più a depistare che a rivelare. Non mancano
sguardi critici verso il reale circostante, mai disgiunti dalla
compartecipazione robusta e cosciente ai fatti – più o meno piacevoli, anzi
spesso drammatici quando non addirittura traumatici – della contemporaneità. “Questo mondo trita divora inghiotte / e alla
cassa evade lo scontrino” (23).
La
metafora rovesciata, che è cardine fondante della poetica dei realisti
terminali, si concettualizza in una oggettivazione anche dell’immateriale, in
un transfert (a volte spaventoso,
altre volte riflesso di una distopia che s’avvicina) da organico a materia
inerte. L’approccio è chiaramente polemico (nel senso autentico del termine, di
“battagliero”) e tragicomico: anche l’identità dell’individuo, che dovrebbe
essere peculiare e distintiva, può divenire indistinguibile e generico oggetto.
Sono Di Malta – recita il titolo
dell’opera – che è una sorta di gioco intelligente sull’omonimia e la
polisemantica che proviene da un intendimento di questo tipo. A ragione Langella etichetta l’Autrice (alla
quale dedica un’impressiva poesia posizionata in apertura del volume) nei
termini di “un bazooka, […] un
lanciafiamme” (9) con l’aggiunta, pochi versi dopo, di una dichiarazione
potente: “Ha fegato e cuore da guerriera”
(9).
Due
poesie, in apertura, sono poste “a specchio”, si tratta di “Flash”, in ricordo
delle vittime di Hiroshima e Nagasaki dei tremendi attacchi nucleari del 1945
(“nel cielo s’aprì il sesto sigillo //
[…] // Lì dove l’erba mutò in cemento”, 11) e “Le colpe dei padri”, coda
riflessiva e postuma dell’eccidio ormai storia lontana di cui indirettamente
possiamo sentirci responsabili.
L’opera
si snoda in cinque micro-sillogi interne, ciascuna dotata di una sua propria
titolazione: “La piazza”, “Luna park”, “Il cono d’ombra”, “La Pandemia” e “Un
secchio d’azzurro”. Si ritrovano nel volume alcuni testi precedentemente letti
(e commentati) facenti parti del volume già citato Il gommone forato (2022) tra cui “Icaro.com” dedicata a Laurent
Barthélémy, colui che nel 2020 “vol[le]
fare di un carrello le [s]ue ali” (27), divenuto poi “bagaglio in aeroporto” (27), dedicata a colui che “part[ì] bimbo, arriv[ò] surgelato” (27).
Nella sezione dedicata alla pandemia sono contenuti versi che tratteggiano
quegli attimi dolorosi visti e vissuti direttamente dalla trincea ospedaliera,
dove l’Autrice lavorava e lavora, impiegando un linguaggio rarefatto, denso di
terminologie farmaceutiche, in una sospensione di respiro a tratti ottundente,
ma c’è anche il ricordo dell’estrema solitudine del Pontefice in Piazza San
Pietro in quelle ore tragiche dettate dal distanziamento e dalla paranoia
collettiva.
Una
boccata d’aria pulita e un vento sorgivo che annuncia una lieve rinascita dopo
la sconvolgente esperienza sociale che ci ha divisi, impoveriti di cari e amici
e forse responsabilizzato un po’ verso l’altro, sono contenuti nei pochi versi
finali che appartengono alla sezione “Un secchio d’azzurro”: “Apri le cancellate della mente / infrangila
la bolla d’aria e prova / la voluttà di un tuffo rovesciato / per esperimenti
di felicità” (79). L’approdo di una nuova età non è semplice risultante
consecutiva al procedimento complesso e affastellato dei fatti e degli
accadimenti, ma necessita di resilienza, impegno e compromissione, d’intervento
attivo e di spirito polemico, di rivendicazione onesta delle proprie idee, che è
quella “voluttà di un tuffo rovesciato”
di cui la Nostra ci parla.
[1] La mia
recensione a quest’opera è stata pubblicata sulla rivista «Oblio», anno XII, n°
46, dicembre 2022, pp. 201-203.
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