Nota critica a Neoplasie Civili di Lorenzo Spurio
A CURA DI GABRIELLA PISON
Credo che gli uomini abbiano perso la capacità di
sperare, di incrociare gli sguardi per guardarsi vicendevolmente negli occhi,
per sentirsi meno soli, così nei versi di Lorenzo Spurio:
si aspettava una folata di fumo
come un segnale tribale
e intanto il mondo lottava
e la gente si dava la morte
in ogni angolo del pianeta
Come ne “Il
fiore giallo” se gli uomini riuscissero a sintonizzarsi sulle emozioni degli
altri, per farle proprie, per armonizzarsi con l’universo e sentirsi una
scintilla nel microcosmo, godrebbero del privilegio di sentirsi parte di un
tutto e non un elettrone sfuggito al alle casualità del fato:
Di colpo mi son chinato a terra
e al margine di un marciapiede
ho colto un fiore giallo
cresciuto lì, forse per sbaglio
e con timore
sospetto che il Cielo sia vuoto di rassicuranti convinzioni, Spurio affida al
capriccio del destino, tra disperazione e speranza, l’anelito ad una visione di
trionfo del Bene:
Ho odorato ancora il fiore
accorgendomi che esalava tristezza
e bisogno d’amore
anche se
profetizza l’impossibilità a vedere una
luce in “Ridicolous Job Act”
o quando con
il comandante oceanico
rabbuiato per la sua colpa
accoltellava l’umanità di angoscia
con il traghetto-catafalco
ricorda il
tragico ed evitabile naufragio al largo della Corea del Sud.
Il misurarsi
con le tragedie delle quotidianità gli consente forse di esorcizzarne i tratti,
pur conservando la drammatica consapevolezza di trovarsi di fronte a laceranti
geometrie, crepuscolari deliri nella solitudine che annichilisce e che ricorda
Primo Levi in Se questo è un uomo:” L’uomo, ogni singolo uomo, è solo. Nessuno lo può aiutare. I legami di
sangue sono svaniti, le amicizie non sussistono. Dio, in un momento tale, non
esiste. O è molto lontano”
Così il nostro poeta, in Neoplasie
civili, riscopre la sconfitta dell’uomo inerme di fronte alla certezza
della sopraffazione, come in
Quando nel mondo si spara,
Gea si occulta la vista
e corre ad occhi serrati
verso rovi e sterpi acuminati
per accecarsi
Alla fine forse solo
l’affermazione del proprio io su tutto
ciò che sta intorno, garantisce la
propria inviolabilità, in un gioco di apparenti contrasti, dove la fuga
ritaglia lacerti di salvezza, sia un sogno o una speranza: la morte come avventura
della ragione, certezza metafisica di chi comprende quanto tutto sia incerto:
Sconvolto correvo per le vie,
allungavo la falcata
e correvo
sempre più veloce,
correvo…
…la vita mi scorciò per sempre.
Ora son gl’altri
a cantar le mie pene.
Forse
Una
freschezza adolescenziale nei versi di Spurio calibrati da una scelta originale
delle parole e dei contesti, vibrati da una emozione che cerca di mascherarsi
nella penombra di riferimenti nietzschiani, dove l’uomo si libera da ogni forma
di trascendenza, arrendendosi al non senso oltre l’essere
Riflettei sulla storia
che raggruma cancrene
e che defluisce in sbocchi
e che mai riporta la vittoria
e
l’avventura della ragione sembra proteggere l’assurdo del non voler alzare gli
occhi al cielo per paura di dover credere
inghiottivo veloci preghiere
sconclusionate, sorte per caso
e affinché non prendessero il sopravvento,
m’aggiravo per la casa
bestemmiando un qualcuno
Ma si tratta
di vivere e pensare con questo strazio: per Lorenzo che con l’acutezza della
luce intellettuale sembra surrogarsi nel pensiero di Camus quando ipotizza che il senso delle cose
sia irrimediabilmente perduto e che l'uomo sia solo con il proprio desiderio di
comprensione è un attimo in cui si smarrisce, in cui le immagini si dissolvono
una nell’altra, esiste la possibilità di dare un senso all’esistenza
La battaglia si vince solo
intentandola.
anzichè
Il mondo, un luogo di transito in cui la voce del
ribelle deve farsi corale, anche se non si attende risposte
Negli
interstizi della realtà che continua a scorrere, si avverte il tormento, che va
oltre la monade della materia, e che si spinge verso un regno dove qualcosa
salva dal disfacimento e dalla finitezza umana, con impressa nell’adynaton la
tensione verso l’elevazione dello spirito:
Cristo si stropicciava gli occhi
in un Golgota di cartapesta,
ma “In cattedrale si suicida uno scrittore”
per sdegnare il tormento
di gravosi e disoneste leggi
contro-natura, che spaccano
la Sacra Famiglia
e demoralizzano il tragicomico
della vita d’oggi
passando per la farsa
e riducendo tutto in burle
ispirandosi
allo scrittore francese Dominique Venner, suicida in Notre Dame, che annotava
disperato come per scuotere il mondo dalla la letargia siano necessari e vitali
gesti capaci di scuotere le coscienze risvegliando la memoria delle nostre origini,
Lorenzo Spurio entra nell’anima, nelle sue galassie, nelle sue tensioni
profetiche e quella che appare una fuga dalla speranza si fa catarsi del
marchio di Caino:
Lo sprezzante
caudillo
era stato messo in ginocchio
non da armi o minacce,
ma dall’inesorabile esistenza.
Così Lorenzo
gioca la sua poetica tra dirompenze metonimiche, intonazioni solenni, lucide e crude esegesi, con analisi
abbaglianti come squarci di sole nel Kali yuga della ragione: illuminazione
caravaggesca prestata alle parole.
Gabriella
Pison
Trieste,
19/10/2014