domenica 10 novembre 2024

In Campidoglio la nomina dei soci onorari dell'Accademia Romanesca


L’Associazione APS Accademia Romanesca promuove ed invita tutti i suoi iscritti e simpatizzanti a partecipare alla cerimonia di “nomina dei Soci Onorari”. L’evento avrà luogo il giorno 15 Novembre 2024 alle ore 17 a Roma presso la Sala del Carroccio, Palazzo Senatorio - Piazza del Campidoglio. 

giovedì 9 maggio 2024

"Siamo fatte di carta" di Floriana Porta e Anna Maria Scocozza. Recensione di Lorenzo Spurio

Un’opera davvero sensazionale e variegata quella proposta dalla poetessa torinese Floriana Porta in collaborazione con l’artista performativa romana Anna Maria Scocozza recentemente edita da Ventura Edizioni di Senigallia. Siamo fatte di carta[1] – l’avvincente titolo che fa pensare alla canonica locuzione “Siamo fatti di carne” per riferirci a noi umani – è il titolo di questa raccolta che vede, pagina dopo pagina, una riuscita commistione di codici tra le due artiste: la poesia di Floriana Porta – nota anche per la sua grande competenza in fatto di analisi e studio della poetica orientale del mondo haiku – e dunque la Parola nel suo più alto senso del termine e la materia di Anna Maria Scocozza il dato oggettuale e – data la scelta del riciclo – residuale, della carta.


La carta, come si sa, ha una sua storia che rimonta all’esigenza dei popoli di comunicare e di tramandare loro contenuti che li ha visti farsi promotori di segni arcaici di trascrizione che sarebbero divenuti i futuri alfabeti. La carta è una delle maggiori scoperte della storia che fece seguito all’utilizzo del papiro degli egizi e ad altre tecniche (come la carta di riso in Oriente) che nel tempo si dimostrarono sempre di più difficile impiego a causa della complicata lavorazione, dei costi e della vulnerabilità per il deperimento del materiale.

La carta rimane comunque – se la pensiamo al confronto con altri materiali come il vetro, il ferro e la pietra – senz’altro qualcosa di leggero e vulnerabile, la concettualizziamo come una sorta di velo che facilmente può prendere la via del vento o rendersi deperibile, sprofondare sotto un peso di poco superiore. È un’entità concreta le cui peculiarità sono la sua finezza (ci si riferisce, non a caso, alla sua grammatura in relazione alla sua densità), la leggerezza, la permeabilità (è in grado di trattenere liquidi imbevendosi fino alla saturazione totale), la duttilità che la rende tra i materiali privilegiati per lavori quali il decoupage, le decorazioni, la cartapesta e altro ancora. Con essa, non è un mistero per nessuno, si possono fare milioni di cose al punto tale che, in varie forme, ogni giorno la utilizziamo più e più volte in vari ambiti e, nonostante la dematerializzazione e la digitalizzazione procedano a passi da gigante, non possiamo fare a meno.

Il fatto che Anna Maria Scocozza l’abbia genialmente scelta come suo privilegiato mezzo espressivo e l’abbia innalzata (si tratta di una poor art, possiamo concederci questa terminologia) a elemento primo dotato di significati è di per sé qualcosa di notevole. Si obietterà che non è la prima che fa qualcosa del genere e questo è certamente vero. L’artista siciliana Giuliana Fileccia – poetessa e scultrice – ha prodotto negli ultimi anni una serie di opere, da lei definite di “Poesia Sculturata”, dove fa interagire sue poesie con materiali combinati rigorosamente dell’arte povera. Ed è questa, una tecnica o un procedimento, abbastanza comune oggigiorno, quello della commistione tra arti, della condivisione artistica, del connubio tra linguaggi, tendenze espressive e volontà creative. La Scocozza impiega la carta nella costruzione di un guardaroba di abiti che è anche – se vogliamo – una sorta di immaginario mitico e infantile.

La carta è senz’altro legata a doppio filo ai bambini: pensiamo ai loro primi approcci col foglio bianco e i colori, alla scoperta che dei bastoncini lasciano meravigliosamente sul foglio delle linee, rotte o sghembe, senza comprenderne l’origine. Si pensi al loro contatto con i primi libri quando entrano a scuola, ma anche alle carte dei giochi da tavola con i quali vengono a contatto, gli stupendi libri con copertina dura cartonata e le fiabe illustrate con colori superlativi da far viaggiare nel tempo, rese vive dalla lettura dei cari nonni per veicolarli nel dominio di Morfeo. Insomma, la carta richiama senz’altro quell’infanzia pulita e spensierata, quell’approccio primordiale e disincantato del piccolo verso un’alterità (una rappresentazione esterna) costituita proprio dalla narrazione di un libro. Da un contenuto extra-personale. Da un mondo parallelo (sia pure favolistico) a portata di mano e, dunque, a una molteplicità di possibilità.

Floriana Porta in una sua dichiarazione di poetica rivela che ha scritto le sue poesie ispirandosi all’eco-filosofia che stimola Anna Maria Scocozza (da lei definita fiabescamente «donna rara, limpida, intimamente mescolata con la forza vitale della natura. È amica dei fiori, delle erbe selvatiche, delle api laboriose, delle acque silenziose, del vento, delle farfalle, delle radici, delle gemme, delle nebbie, degli arcobaleni e dell’universo intero») unitamente al fascino che da sempre nutre per la tradizione orientale, dal predominio dell’elemento naturale ai moti irrefrenabili degli impulsi vitali, dei cicli, della rinascita, dei moti di cambiamento e delle metamorfosi continue.

Le tematiche del volume sono varie: la natura e i suoi misteri, il tempo che scorre, la donna e la femminilità (il sottotitolo dell’opera parla testualmente di una “rinascita al femminile”), la ricerca interiore, la tensione alla spiritualità, ma anche il dolore, ambito immancabile del percorso (e della crescita) dell’uomo nelle sue tante «storie perse nel tempo» come scrive la Porta.

Il mezzo prescelto per comunicare i propri messaggi è quello della carta: tanto la pagina del libro sulla quale si stagliano i versi di Porta quanto le creazioni oggettistiche di Scocozza del suo curioso “guardaroba poetico” rigorosamente al femminile dove sfilano capi di vario tipo, da abiti propriamente detti a lingerie fino a décolleté e gioielli. La carta è riciclata e questo ci fa immancabilmente riflettere. Quale materiale di risulta è in linea con la volontà di un recupero dell’organico motivato anche da ragioni ecologiche. Il riuso e la conversione del materiale sono azioni autentiche con le quali la Scocozza plasma il suo materiale primo, trasmettendo forme e contenuti. La carta diviene, dunque, tanto il fine stesso dell’atto creativo quanto il mezzo fondamentale del progetto sostenibile, condiviso con la poetessa Porta.

Sara Durantini nella prefazione al volume osserva: «Siamo fatte di carta ha la particolarità di porsi come un dialogo intimo tra la parola e l’immagine, un incontro tra poeta e artista. La sua semplicità materiale si contrappone alla ricchezza creativa, sfidando l’idea tradizionale di valore nell’arte».

Le poesie di Porta divengono origami abilmente costruiti che man mano balzano dalla pagina e prendono vita propria. I contenuti, talora intimi quando addirittura sociali, dei suoi componimenti investono direttamente il lettore come quei libri-gioco cartonati (o libri pop-up) per bambini che, aprendoli e sfogliandoli, vedono costruirsi ed erigersi dinanzi a te montagne, mondi prismatici, costruzioni che si fanno sempre più prossimi all’osservatore, destando stupore per la loro grande capacità mimetica nella loro forma tridimensionale. Il prodotto finale è un libro che non è solo oggetto ma essenza del meraviglioso: ricco e versatile nei contenuti, muliebre e originale, si determina per la sua ricercatezza e creatività che ne fa un oggetto che, in fondo, non è propriamente definibile in chiave univoca. Sempre la Durantini scrive: «un progetto che sfida le convenzioni e celebra la creatività artistica come un’esperienza profondamente personale e significativa».

Viviane Ciampi ha scritto che le due autrici-compositrici «Non si limitano a celebrare la femminilità in senso convenzionale, ma ne esplorano anche i lati oscuri, il dolore, la strizzatina d’occhio, contraddizioni, lotte e vittorie. È un ritratto autentico e potente di ciò che significa essere donna ‒ oggi ‒ in un mondo implacabile, in continua evoluzione» concludendo soddisfatta e convinta che questo «È un libro che pone domande. E non richiede risposte immediate».

L’altra potenzialità dell’opera è quella di richiamare una serie di circostanze e archetipi dell’arte contemporanea in cui l’elemento carta, in quanto materia scelta, diviene preminente. Dalla tradizione del “libro d’artista”, esperimento personalissimo che contiene la visione dell’Artista, ai più recenti e vari “attacchi d’arte”, veri e propri ready-made in cui la manualità si fa incisiva da coniugarsi con maquillage artistici che chiamano a riflettere. La predilezione per la carta delle nostre si configura come leitmotiv e isotopia fondamentale della narrazione del proprio intimo in concordanza con una sinergia tanto concettuale che materica. Viene da pensare, nel gioco tra grafia, materia, disposizione del testo sul foglio, scelte tipografiche, spazi inespressi e silenzi più o meno ampliati, anche alla stagione della poesia visiva (o visual poetry) che nella letteratura esordì con i Calligrammi di Apollinaire e, nel nostro Paese, con le proposte di Govoni e Palazzeschi, tra le altre.

Rilevanti, nei componimenti poetici della Porta, risultano essere elementi che richiamano la tradizione orientale, dal kigo o elemento stagionale immancabile nell’haiku classico, alla filosofia del kintsugi vale a dire della ricostruzione coscienziosa di quel che si è rotto. Cicatrice e ricucitura, ha forma nell’idea di bellezza insita nell’imperfezione. Resilienza, permeabilità, rinascita e crescita personale che ritroviamo anche in un suo haiku: «La poesia traduce le ansie, / le ferite e le lacerazioni. / Libera la voce del cuore». L’inflorescenza della rinascita, rappresentata dal sakura (bocciolo di ciliegio), si ritrova nell’arditezza creativa della Scocozza che, con la carta, riproduce petali ed elementi floreali.

In vari testi qui raccolti l’Autrice Floriana Porta riflette sul senso atavico e presente della poesia che lei descrive in questi termini: «La poesia è la mia voce, / la mia forza e la mia debolezza. / È un’armatura / dalla quale non provo neanche a liberarmi».

I “vestimenti poetici” della Scocozza comprendono lingerie, corpi d’abito, calzature, gioielli, altri ornamenti caratterizzati da filamenti, orditi e ricami e oggetti d’accompagnamento in un repertorio ampio e di chiaro genio artistico dove troviamo pure un alveare di carta. Lo spazio infinitesimamente ridotto delle sue perfette celle richiama l’idea di scambio e di passaggio, di un transfert continuo tra dentro e fuori, ma anche di cooperazione e sostegno sociale per la costruzione di un progetto corale. I gioielli della Scocozza hanno un pregiato gusto che rimonta al Liberty mentre le maschere (tra cui “Divina indifferenza”, opera del 2021) sono calchi di forte espressività di grande resa dei caratteri impressi. L’accensione emotiva e posturale degli elementi facciali accentua le intenzioni e le ansie, anticipa un discorso che è è dato da intuire al fruitore.

Siamo fatte di carta non è solo un libro ma una vera opera concettuale, che va fruita e apprezzata per il suo genio e per la felice sinergia delle due autrici. «Ho imparato ad avere nuovi occhi / capaci di stupirsi, di lasciarsi urtare / e colpire dalla bellezza» recita Floriana Porta in un suo componimento e, dopo tutto, è quel che la poetessa riesce a fare con questo volume: fa sì che l’opera – che è bellezza – ci colpisca. Dal contatto con essa non rimarremo impassibili.


LORENZO SPURIO

 

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Le autrici

 

Floriana Porta (Torino, 1975), vive a Vinovo (TO). Scrive, compone e dipinge sin da giovanissima. Il suo stile poetico è vicino all’ermetismo, ben lontano da forme retoriche e sentimentaliste, e si caratterizza per contemplazione e armonia. Esperta di poesia giapponese, in particolare di haiku, baishù e tanka, forme poetiche particolarmente legate all’ambiente naturale. Ha fatto parte per vari anni della giuria del Concorso Internazionale di Haiku di Cascina Macondo. Ha pubblicato numerosi libri, e-book e plaquette di poesia ed è presente in molte antologie poetiche. Queste le sue pubblicazioni: Verso altri cieli (2013), Quando sorride il mare (2014), Dove si posa il bianco (2014), L’acqua non parla (2015) Fin dentro il mattino (2014), La mia non è poesia (2017), I nomi delle cose (2017), In un batter d’ali (2018), Offro respiro ai versi (2018), Il Giappone in controluce (2020) L’infinito è in me (2021) e Siamo fatte di carta (2024), quest’ultimo a quattro mani con Anna Maria Scocozza. Hanno scritto della sua poesia numerosi critici ed esperti di poesia e letteratura tra i quali Antonio Spagnuolo, Lucio Zinna, Viviane Ciampi, Pier Luigi Coda, Fortuna della Porta, Ilaria Guidantoni, Andrea Galgano, Luciano Somma, Rosa Elisa Giangoia, Giuseppe Conte, Camilla Ziglia e molti altri. Come artista si riconosce allieva di Fernando Bibollet, Antonio Carena e Nino Aimone – tre grandi pittori piemontesi – e ha esposto nel Torinese e nell’Astigiano le sue opere ad acquerello e le sue fotografie. Collabora con riviste, cura il blog “Le cetre dei poeti”, fa parte di giurie di premi letterari ed è la fondatrice del gruppo poetico “Vinovo in poesia” con il quale organizza, dal 2017, presso la biblioteca civica vinovese, incontri culturali e letterari. Tra le altre sue passioni figurano la paleontologia e la fotografia.

 

Anna Maria Scocozza (Roma, 1965), dove vive e lavora. Diplomata in Costume e Moda, ha frequentato, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, la Scuola libera del nudo e molti corsi di specializzazione di pittura e decorazione. Ha condotto numerosi laboratori/workshop artistico-creativi e corsi di tecniche pittoriche presso musei, scuole e centri di aggregazione giovanile per adolescenti, adulti e bambini. Negli ultimi anni la sua ricerca artistica si è focalizzata sulla realizzazione del suo “Guardaroba poetico”, e precedentemente sull’acquarello e sui libri d’artista. La sua è un’arte non solo estetica, ma anche etica, tenta di spingere lo spettatore a interrogarsi non soltanto verso tematiche sociali che riguardano soprattutto le donne vittime di violenza. Costruisce le sue opere “Indumenti poetici” con ciò che viene rifiutato, inutilizzato: vecchi libri riciclati, destrutturati e ricreati, talvolta filati, a formare una stoffa di carta, che utilizza come metafora poetica, visioni da indossare per descrivere la realtà, anche quella più dolorosa; simboli visivi, archetipi umani, che ci accompagnano nel nostro difficile viaggio terreno e spirituale. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia e all’estero e le sue opere si trovano presso Musei, Fondazioni e Collezioni italiane e straniere. Tra le partecipazioni più recenti figurano la mostra “Siamo fatte di carta” al Museo Hendrik Cristian Andersen a Roma (2024) e la Triennale Internazionale du papier Musèe Charmey in Svizzera.

 


[1] Il titolo del volume è tratto da alcuni versi di una poesia della Porta dove si legge: «Siamo fatte di carta, / di storie perse nel tempo, / di alberi capaci di sognare, / di narrazioni e di traguardi».

sabato 13 aprile 2024

"Rebus Banksy", la nuova opera di Andrea Del Monte, recensita da Lorenzo Spurio

È uscito il 6 dicembre scorso in tutte le librerie, per i tipi della romana Ensemble, Rebus Banksy, il nuovo libro-disco di Andrea Del Monte che porta quale sottotitolo L’uomo dall’arte ribelle.

Non si tratta solo di un libro dedicato al grande artista e writer britannico ma anche un libro di poesie, racconti e di musica. Nominare Banksy – si legge nel comunicato di lancio dell’opera – significa solitamente catturare immediatamente l’attenzione mediatica anche se l’interesse sociale spesso si limita solo a cercare d’individuarne l’identità. Del Monte ha avuto modo di osservare: «Per me, l’identità di Banksy può restare un rebus. A me interessa la sua arte». Ed è tale l’obiettivo del libro-disco: andare al di là del nome per approfondire, attraverso alcune delle massime forme d’arte, tutti i significati che le opere del celebre e al contempo misterioso writer possono offrire. Emozioni, sentimenti, riflessioni, note e quant’altro.



Per realizzare l’opera Andrea Del Monte si è avvalso della collaborazione di Jacopo Colabattista, che ha ridisegnato dieci opere di Banksy, degli scrittori e poeti Vivian Lamarque, Antonio Veneziani, Renzo Paris, Elisabetta Bucciarelli, Geraldina Colotti, Susanna Schimperna, Giorgio Ghiotti, Gino Scartaghiande, Fernando Acitelli, Antonio Pennacchi, Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Angelo Mastrandrea, Alessandro Moscè, Claudio Finelli, Marcello Loprencipe, Diego Zandel, Helena Velena e Ugo Magnanti.

Tra le opere di Banksy selezionate e qui riprodotte figurano “Il lanciatore di fiori” (“The Flower Thrower”, opera in stencil nero apparsa nel 1999 su un muro di Beit Sahour in Palestina) in cui in una diapositiva di un’ipotetica intifada al posto delle pietre vengono lanciati fiori a trasmettere un’idea di negazione della guerra nella quale la collettività dovrebbe impegnarsi; “La madonna con la pistola” (apparso come murales nei pressi di Piazza Gerolomini a Napoli) con un chiaro intento di denuncia del fenomeno malavitoso camorrista; “Bambino migrante” (“Migrant child”) opera apparsa nel 2019 su un muro di una casa lambita dall’acqua del Canale a Venezia nel sestiere Dorsoduro, in cui il tema è l’immigrazione che concerne il mondo dell’infanzia: il bambino tiene in mano un razzo di segnalazione dal quale diparte una conformazione fumosa in un acceso color fucsia ad intendere un SOS lanciato. Il critico Vittorio Sgarbi all’epoca sostenne che era necessario un intervento protettivo per tutelare l’opera, esposta alle intemperie e all’umidità vista la prossimità dell’acqua del Canale che arriva a coprire addirittura i piedi del ragazzino ritratto.

Tra le altre opere di Banksy proposte figurano “Il calciatore rivoluzionario” pensata per riferirsi all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), un movimento nato in Messico in sostegno delle popolazioni indios contro il capitalismo rappresentato dal Subcomandante Marcos; “Babbo Natale” apparso su un muro di Birmingham dove, a un vero clochard che dorme steso su una panchina, il misterioso artista ha pitturato sul muro le linee che collegano alle renne (la panchina sarebbe dunque la slitta). Il canonico ridanciano Santa Claus è trasformato da Banksy in clochard, povero derelitto che vive alle intemperie della vita, per sottolineare il tema della marginalità delle periferie, della vulnerabilità e della povertà sociale.

Si continua con “Evoluzione umana in codice a barre” (o “Evoluzione della scimmia a codice a barre”) in cui nella poesia collegata, a firma dello stesso Andrea Del Monte, leggiamo “Sono una persona, non sono un codice a barre, / sono una persona, non sono uguale alle altre”. Fanno capolino il tema dell’alienazione e della mancanza d’identità che in questa società contemporanea purtroppo spopolano e che lasciano il posto alla generalizzazione e al bieco relativismo. Con l’opera banksyana “Bambini sulle armi” (“Kids on guns”) ritorna il tema della violenza, della guerra, riferito all’inerme mondo dei bambini: qui due ragazzi sono ritratti vicini sulla sommità di un cumulo di armi d’artiglieria. Il tutto ha – come capita quasi sempre – una colorazione nera mentre il palloncino che reggono e che si eleva verso l’alto (a differenza delle armi, in basso) è di colore rosso e ha una forma di cuore. Associata a quest’opera è una cantilenesca poesia di Vivian Lamarque – poetessa da sempre particolarmente legata al mondo dei minori – intitolata “Filastrocca in disarmo” che recita: “C’era una guerra così intelligente / che solo lei si capiva / gli altri non capivano niente, / gli altri non capivano niente”. E poi, verso la chiusa: “Morivano tutti anche i bambini / […] // Ma più di tutti moriva il mare / vedendo i bambini morire di mare”.

C’è poi la curiosa “Banconota Lady Diana / Di-Faced Turner” che ritrae una fantasiosa banconota con l’immagine della Principessa dei Cuori e, al posto di Bank of England, Banksy of England. Si tratta, come avviene nella maggior parte dei casi, di una provocazione. L’artista vuol forse riferirsi allo stigma della donna per l’allontanamento dalla Real Casa e al clima d’odio fomentato da certa stampa, alla sua vulnerabilità di donna e alla solitudine del suo ultimo periodo prima del tragico incidente nella Capitale francese. Nella poesia di Susanna Schimperna dedicata alla Principessa si legge: “Lei era troppo dolce / guardava intimidita sempre da un’altra parte”.

Tra le ultime opere proposte in questo volume grafico, poetico, narrativo e musicale ci sono “Il bacio dei poliziotti” (“Kissing Coppers”) e “La bambina con il palloncino” (“Balloon girl”) quest’ultima accompagnata, in chiave poetica, da un testo di Elisabetta Bucciarelli.

Rebus Banksy, che è un’opera polifonica e multimediale, contiene anche quattro interviste ad altrettanti esponenti del mondo artistico in tutte le sue declinazioni: Vittorio Sgarbi, Vauro Senesi, Sabina De Gregori (autrice del primo libro, nel nostro Paese, dedicato al geniale artista di strada, Banksy, il terrorista dell’arte, opera del 2010) e Giuseppe Pollicelli. Il medesimo format d’intervista è proposto per i quattro esponenti intervistati. Diverse sono le considerazioni attorno alle potenzialità della street art di Banksy, a fornire uno scenario completo e variegato, motivo di riflessione.

Mediante il codice QR che figura nel colophon del libro è possibile ascoltare le dieci canzoni che l’Autore ha prodotto in collaborazione con artisti di fama mondiale tra i quali John Jackson (storico chitarrista di Bob Dylan), Fernando Saunders (produttore e bassista di Lou Reed) ed Ezio Bonicelli (violinista e chitarrista di Giovanni L. Ferretti e dei CCCP).

Andrea Del Monte è chitarrista, cantautore e compositore. Ha partecipato allo storico festival “Il Cantagiro” dell’edizione 2007, risultando vincitore del premio della critica. Si è più volte esibito a Casa Sanremo e nel Sanremo Off e in alcune tappe di Radio Italia. Al suo primo EP hanno collaborato John Jackson e il musicista ed etnomusicologo Ambrogio Sparagna. Ha pubblicato il libro Brigantesse, storie d’amore e di fucile (Ponte Sisto, Roma, 2019) il cui disco allegato si apre con l’intervento di Sabrina Ferilli e il libro-disco Puzzle Pasolini (Ensemble, Roma, 2022) con il quale ha ricevuto in Campidoglio i premi “Microfono d’oro”, “Antenna d’oro per la TIVVU” e il “Sette Colli”. A Lanuvio l’opera è stata premiata con il premio speciale “Croffi – Castelli Romani Film Festival”.

 

 

Lorenzo Spurio

 

Matera, 08/0/2024

 

 

 

 

lunedì 4 marzo 2024

Lorenzo Spurio su "Il tempo della carestia", ultima opera poetica del pugliese Gianni Antonio Palumbo

La nuova opera poetica di Gianni Antonio Palumbo – docente universitario, apprezzato anche quale critico letterario – porta il titolo apparentemente emblematico de Il tempo della carestia. Di quale carestia stiamo parlando? In realtà la domanda basilare e propedeutica che bisognerebbe porsi è che cosa voglia intendere l’Autore con il termine “carestia”. Probabilmente – stiamo, comunque, nel campo dell’inferenza – l’utilizzo di questo termine è in forma analogica e personalizzata, forse addirittura ermetica o depistante. Vedremo nel corso di questa breve analisi quali di queste considerazioni possano sembrare più lontane dall’evidenza, dalla realtà, dalle intenzioni – più o meno palesate – del Nostro.

Un breve excursus dell’ampio e notevole percorso letterario dell’Autore è senz’altro utile a questa altezza, anche perché ci permette di comprendere meglio anche le numerosi fonti citate, le influenze, gli echi e le reminiscenze letterarie, i camei, le ricorrenze e le circostanze che hanno motivato la stesura di determinati testi.

Il poeta e promotore culturale pugliese Gianni Antonio Palumbo

Gianni Antonio Palumbo (Molfetta, BA, 1978) è attualmente docente di Filologia letteraria italiana e Metodologia della critica letteraria presso l’Università di Foggia. Quale critico letterario si è occupato prevalentemente della letteratura italiana del Rinascimento, dell’Ottocento e di quella contemporanea con vari saggi, studi e recensioni anche di volumi di autori contemporanei. Per la saggistica in volume ha pubblicato Vestali in un mondo senza sogni (SECOP, 2011) e La biblioteca di un grammatico (Cacucci, 2012), quest’ultimo sull’umanista Giuniano Maio e curato l’edizione delle Rime (Stilo, 2019) della poetessa lucana Isabella Morra. Sue poesie sono state tradotte in varie lingue e di lui hanno parlato, tra gli altri, in volumi e studi sulla letteratura pugliese, i docenti universitari e critici letterari Ettore Catalano e Daniele Maria Pegorari. Per la narrativa ha pubblicato il romanzo Non alla luna, non al vento di marzo (Schena, 2006) e la raccolta di racconti Il segreto di Chelidonia (SECOP, 2014); attivo anche in campo drammaturgico con la stesura di pièce teatrali, tra cui alcune totalmente inedite. Già redattore della storica rivista barese «La Vallisa», lo è ora delle riviste «Luce e Vita», «Quindici» e collaboratore di «Menabò».

Nella parte centrale della copertina appare un particolare di una tela dai colori ambrati che ritrae una donna, probabilmente immagine di una musa, che suona uno strumento a corde. L’immagine, dal chiaro ed elegante gusto preraffaelita, c’introduce in questo percorso poetico volutamente strutturato in vari itinerari interni, micro-sillogi dotate di un proprio titolo, con un numero di componimenti diversi e afferenti a sfere tematico-concettuali differenti che l’Autore ha inteso evidenziare proprio mediante questa sorta di “catalogazione per capitoli”. Palumbo ha deciso di pubblicare anche vari componimenti non nuovi, non inediti, già apparsi su riviste con le quali collabora o su altri libri (suoi o di terzi, prevalentemente in operazioni editoriali di tipo antologico).

Il tempo della carestia esordisce con “L’autoaprentesi apertura” (espressione che credo voglia richiamare un passo de L’origine dell’opera d’arte del filosofo Heidegger), si snoda nella sezione “Variazione di Selene” con liriche incentrate sul canto (e la ricerca, il colloquio) con la Luna – un tema ricorrente nella poesia di tutti i tempi – in cui la luna non è solo elemento di fascino ma motivo interloquitivo e meditativo (“La notte è nel respiro / la notte è forma dei nostri pensieri. / […] / Siamo notte notte notte”, 42). Immagine-emblema che ha la sua coda luminosa nella sezione successiva, “Non alla luna, non al vento di marzo” che contiene, tra le altre, liriche molto appassionate quali “Memory” e “Nostalgia”. Uno dei temi centrali è quello del ricordo richiamato in forma sottrattiva, vale a dire nella perplessità della memoria, nel timore dinanzi alla dimenticanza (“senza ricordi / sarei un’ombra”, 52). Ci sono due piccole sezioni del volume dedicate ad alcuni luoghi conosciuti e frequentati dal Nostro, con particolare alle città di Bari e Brindisi, e l’altra ai “Familiares”, componimenti che trovano nei rapporti di affetto e stima verso propri cari il motivo trainante per la relativa stesura. In “Lari e miti” il sostrato è interamente di tradizione classica, con rievocazioni, echi e comparazioni, attualizzazioni e considerazioni su personaggi mitologici e le loro particolarità tramandate da sempre. Troviamo affrontata anche la dimensione religiosa nella sezione “Canti spirituali”. Le sezioni conclusive sono “Trionfi” e “L’asfalto e la grazia”, un poemetto.

Per ritornare al dubbio iniziale sul modo in cui è possibile concepire il concetto di “carestia” che Palumbo ha voluto mettere in campo quale emblema del tempo che ha inteso descrivere e narrare in versi possiamo senz’altro porci delle domande. Non credo voglia alludere semplicemente a una mancanza d’alimentazione generalizzata, di fame sociale o, per lo meno, non da intendere come una fame concreta e oggettiva, da saziare con alimenti reali. L’Autore potrebbe riferirsi a una situazione di carestia – di penuria, di mancanza e sofferenza, di vulnerabilità – che è dettata da un impoverimento immateriale, di tipo etico, di sterilità sentimentale, di disattenzione all’altro. L’esergo, in un tono quasi apocalittico, può farci pensare a una sorta di minaccia d’imminente concretizzazione, di uno spauracchio dietro l’angolo e, dunque, il tempo della carestia potrebbe essere quello dell’SOS, della ricerca d’aiuto prima di sprofondare completamente nell’abisso, di addentrarsi senza appigli nel pieno della carestia. Carestia umana, emozionale, dei rapporti, delle intenzioni, intesa come una sospensione che ha dell’irreale ma che l’Autore richiama quale limite massimo che si appresta a essere valicato perigliosamente. È quel che sembra dirci il “Cantico del Controsamaritano” che apre l’intero libro in cui, con freddezza e noncuranza, si legge “Lasciai morire un uomo per ignavia” (9); “voltai la testa altrove” (10), “noi che assistemmo allo scempio dell’umano” (11) e che fa concludere l’io lirico in un moto di disapprovazione e d’implorante castigo: “dacci la vergogna della nostra indifferenza” (11). A questo atteggiamento dettato dalla morbosa impassibilità Palumbo contrappone la solidale compassione e la partecipazione emotiva come quando considera e parla delle addolorate “madri d’Argentina / che hanno smarrito i figli” (107) pur dinanzi all’evidenza della corruzione e della meschinità dei tempi che dominano in “questa nostra smarginata terra” (19).

 

 Lorenzo Spurio

Matera, 23/01/2024

lunedì 5 febbraio 2024

Lorenzo Spurio su "Tania di Malta", nuova opera poetica della poetessa Tania Di Malta

Recensione di Lorenzo Spurio

 La poetessa Tania Di Malta, dopo un volume antologico di cui molto si è parlato nel quale ha raccolto una serie di poeti realista-terminali dal titolo Il gommone forato. La poesia civile del Realismo Terminale (Puntoacapo, Pasturana, 2022)[1], ha pubblicato la silloge dal titolo tautologico Sono Di Malta per le edizioni Ensemble a luglio del 2023.

L’opera s’iscrive in un denso percorso letterario che segue i precedenti lavori Aquiloni sul mare nella notte (CTL, Livorno, 2017) e Addio ai girasoli (CTL, Livorno, 2018) ed è la naturale prosecuzione di una lunga e convinta adesione al Movimento del Realismo Terminale (il cui Manifesto venne redatto e siglato dal Maestro Guido Oldani nel 2010) al quale ha fatto parte dall’ottobre 2017 al settembre 2023.

La Di Malta collabora attivamente da anni tanto con Oldani (che apre il nuovo volume con una sua breve nota prefattiva) che con il professore Giuseppe Langella, già ordinario di Letteratura Italiana all’Università Cattolica di Milano, considerato uno dei maggiori “teorici” del Movimento.

Oldani osserva che i testi della Di Malta “scorrono negli spigoli dell’armonia, fra l’ossatura della poesia civile e l’umanitarietà del singolo rapporto esistenziale” (7-8). Stile, immagini, concetti prettamente realista-terminali, echi e linguismi particolari (compresi esterofilismi) si coniugano in un dettato lirico prevalentemente asciutto e in alcuni tratti ruvido, tendente più a depistare che a rivelare. Non mancano sguardi critici verso il reale circostante, mai disgiunti dalla compartecipazione robusta e cosciente ai fatti – più o meno piacevoli, anzi spesso drammatici quando non addirittura traumatici – della contemporaneità. “Questo mondo trita divora inghiotte / e alla cassa evade lo scontrino” (23).

La metafora rovesciata, che è cardine fondante della poetica dei realisti terminali, si concettualizza in una oggettivazione anche dell’immateriale, in un transfert (a volte spaventoso, altre volte riflesso di una distopia che s’avvicina) da organico a materia inerte. L’approccio è chiaramente polemico (nel senso autentico del termine, di “battagliero”) e tragicomico: anche l’identità dell’individuo, che dovrebbe essere peculiare e distintiva, può divenire indistinguibile e generico oggetto. Sono Di Malta – recita il titolo dell’opera – che è una sorta di gioco intelligente sull’omonimia e la polisemantica che proviene da un intendimento di questo tipo.  A ragione Langella etichetta l’Autrice (alla quale dedica un’impressiva poesia posizionata in apertura del volume) nei termini di “un bazooka, […] un lanciafiamme” (9) con l’aggiunta, pochi versi dopo, di una dichiarazione potente: “Ha fegato e cuore da guerriera” (9).

Due poesie, in apertura, sono poste “a specchio”, si tratta di “Flash”, in ricordo delle vittime di Hiroshima e Nagasaki dei tremendi attacchi nucleari del 1945 (“nel cielo s’aprì il sesto sigillo // […] // Lì dove l’erba mutò in cemento”, 11) e “Le colpe dei padri”, coda riflessiva e postuma dell’eccidio ormai storia lontana di cui indirettamente possiamo sentirci responsabili.

La poetessa Tania Di Malta

L’opera si snoda in cinque micro-sillogi interne, ciascuna dotata di una sua propria titolazione: “La piazza”, “Luna park”, “Il cono d’ombra”, “La Pandemia” e “Un secchio d’azzurro”. Si ritrovano nel volume alcuni testi precedentemente letti (e commentati) facenti parti del volume già citato Il gommone forato (2022) tra cui “Icaro.com” dedicata a Laurent Barthélémy, colui che nel 2020 “vol[le] fare di un carrello le [s]ue ali” (27), divenuto poi “bagaglio in aeroporto” (27), dedicata a colui che “part[ì] bimbo, arriv[ò] surgelato” (27). Nella sezione dedicata alla pandemia sono contenuti versi che tratteggiano quegli attimi dolorosi visti e vissuti direttamente dalla trincea ospedaliera, dove l’Autrice lavorava e lavora, impiegando un linguaggio rarefatto, denso di terminologie farmaceutiche, in una sospensione di respiro a tratti ottundente, ma c’è anche il ricordo dell’estrema solitudine del Pontefice in Piazza San Pietro in quelle ore tragiche dettate dal distanziamento e dalla paranoia collettiva.

Una boccata d’aria pulita e un vento sorgivo che annuncia una lieve rinascita dopo la sconvolgente esperienza sociale che ci ha divisi, impoveriti di cari e amici e forse responsabilizzato un po’ verso l’altro, sono contenuti nei pochi versi finali che appartengono alla sezione “Un secchio d’azzurro”: “Apri le cancellate della mente / infrangila la bolla d’aria e prova / la voluttà di un tuffo rovesciato / per esperimenti di felicità” (79). L’approdo di una nuova età non è semplice risultante consecutiva al procedimento complesso e affastellato dei fatti e degli accadimenti, ma necessita di resilienza, impegno e compromissione, d’intervento attivo e di spirito polemico, di rivendicazione onesta delle proprie idee, che è quella “voluttà di un tuffo rovesciato” di cui la Nostra ci parla.

 

 Lorenzo Spurio

 

 



[1] La mia recensione a quest’opera è stata pubblicata sulla rivista «Oblio», anno XII, n° 46, dicembre 2022, pp. 201-203.