L’Associazione APS Accademia Romanesca promuove ed invita tutti i suoi iscritti e simpatizzanti a partecipare alla cerimonia di “nomina dei Soci Onorari”. L’evento avrà luogo il giorno 15 Novembre 2024 alle ore 17 a Roma presso la Sala del Carroccio, Palazzo Senatorio - Piazza del Campidoglio.
domenica 10 novembre 2024
In Campidoglio la nomina dei soci onorari dell'Accademia Romanesca
L’Associazione APS Accademia Romanesca promuove ed invita tutti i suoi iscritti e simpatizzanti a partecipare alla cerimonia di “nomina dei Soci Onorari”. L’evento avrà luogo il giorno 15 Novembre 2024 alle ore 17 a Roma presso la Sala del Carroccio, Palazzo Senatorio - Piazza del Campidoglio.
giovedì 9 maggio 2024
"Siamo fatte di carta" di Floriana Porta e Anna Maria Scocozza. Recensione di Lorenzo Spurio
Un’opera davvero sensazionale e
variegata quella proposta dalla poetessa torinese Floriana Porta in
collaborazione con l’artista performativa romana Anna Maria Scocozza
recentemente edita da Ventura Edizioni di Senigallia. Siamo fatte di carta[1]
– l’avvincente titolo che fa pensare alla canonica locuzione “Siamo fatti di
carne” per riferirci a noi umani – è il titolo di questa raccolta che vede,
pagina dopo pagina, una riuscita commistione di codici tra le due artiste: la
poesia di Floriana Porta – nota anche per la sua grande competenza in fatto di
analisi e studio della poetica orientale del mondo haiku – e dunque la Parola
nel suo più alto senso del termine e la materia di Anna Maria Scocozza il dato
oggettuale e – data la scelta del riciclo – residuale, della carta.
La carta, come si sa, ha una sua storia
che rimonta all’esigenza dei popoli di comunicare e di tramandare loro
contenuti che li ha visti farsi promotori di segni arcaici di trascrizione che
sarebbero divenuti i futuri alfabeti. La carta è una delle maggiori scoperte
della storia che fece seguito all’utilizzo del papiro degli egizi e ad altre
tecniche (come la carta di riso in Oriente) che nel tempo si dimostrarono
sempre di più difficile impiego a causa della complicata lavorazione, dei costi
e della vulnerabilità per il deperimento del materiale.
La carta rimane comunque – se la
pensiamo al confronto con altri materiali come il vetro, il ferro e la pietra –
senz’altro qualcosa di leggero e vulnerabile, la concettualizziamo come una
sorta di velo che facilmente può prendere la via del vento o rendersi
deperibile, sprofondare sotto un peso di poco superiore. È un’entità concreta
le cui peculiarità sono la sua finezza (ci si riferisce, non a caso, alla sua
grammatura in relazione alla sua densità), la leggerezza, la permeabilità (è in
grado di trattenere liquidi imbevendosi fino alla saturazione totale), la
duttilità che la rende tra i materiali privilegiati per lavori quali il decoupage,
le decorazioni, la cartapesta e altro ancora. Con essa, non è un mistero per
nessuno, si possono fare milioni di cose al punto tale che, in varie forme,
ogni giorno la utilizziamo più e più volte in vari ambiti e, nonostante la
dematerializzazione e la digitalizzazione procedano a passi da gigante, non
possiamo fare a meno.
Il fatto che Anna Maria Scocozza l’abbia
genialmente scelta come suo privilegiato mezzo espressivo e l’abbia innalzata
(si tratta di una poor art, possiamo
concederci questa terminologia) a elemento primo dotato di significati è di per
sé qualcosa di notevole. Si obietterà che non è la prima che fa qualcosa del
genere e questo è certamente vero. L’artista siciliana Giuliana Fileccia –
poetessa e scultrice – ha prodotto negli ultimi anni una serie di opere, da lei
definite di “Poesia Sculturata”, dove fa interagire sue poesie con materiali
combinati rigorosamente dell’arte povera. Ed è questa, una tecnica o un
procedimento, abbastanza comune oggigiorno, quello della commistione tra arti,
della condivisione artistica, del connubio tra linguaggi, tendenze espressive e
volontà creative. La Scocozza impiega la carta nella costruzione di un
guardaroba di abiti che è anche – se vogliamo – una sorta di immaginario mitico
e infantile.
La carta è senz’altro legata a doppio
filo ai bambini: pensiamo ai loro primi approcci col foglio bianco e i colori,
alla scoperta che dei bastoncini lasciano meravigliosamente sul foglio delle
linee, rotte o sghembe, senza comprenderne l’origine. Si pensi al loro contatto
con i primi libri quando entrano a scuola, ma anche alle carte dei giochi da
tavola con i quali vengono a contatto, gli stupendi libri con copertina dura
cartonata e le fiabe illustrate con colori superlativi da far viaggiare nel
tempo, rese vive dalla lettura dei cari nonni per veicolarli nel dominio di
Morfeo. Insomma, la carta richiama senz’altro quell’infanzia pulita e
spensierata, quell’approccio primordiale e disincantato del piccolo verso
un’alterità (una rappresentazione esterna) costituita proprio dalla narrazione
di un libro. Da un contenuto extra-personale. Da un mondo parallelo (sia pure
favolistico) a portata di mano e, dunque, a una molteplicità di possibilità.
Floriana Porta in una sua dichiarazione
di poetica rivela che ha scritto le sue poesie ispirandosi all’eco-filosofia
che stimola Anna Maria Scocozza (da lei definita fiabescamente «donna rara,
limpida, intimamente mescolata con la forza vitale della natura. È amica dei
fiori, delle erbe selvatiche, delle api laboriose, delle acque silenziose, del
vento, delle farfalle, delle radici, delle gemme, delle nebbie, degli
arcobaleni e dell’universo intero») unitamente al fascino che da sempre nutre
per la tradizione orientale, dal predominio dell’elemento naturale ai moti
irrefrenabili degli impulsi vitali, dei cicli, della rinascita, dei moti di cambiamento
e delle metamorfosi continue.
Le tematiche del volume sono varie: la
natura e i suoi misteri, il tempo che scorre, la donna e la femminilità (il
sottotitolo dell’opera parla testualmente di una “rinascita al femminile”), la
ricerca interiore, la tensione alla spiritualità, ma anche il dolore, ambito
immancabile del percorso (e della crescita) dell’uomo nelle sue tante «storie perse nel tempo» come scrive la
Porta.
Il mezzo prescelto per comunicare i
propri messaggi è quello della carta: tanto la pagina del libro sulla quale si
stagliano i versi di Porta quanto le creazioni oggettistiche di Scocozza del
suo curioso “guardaroba poetico” rigorosamente al femminile dove sfilano capi
di vario tipo, da abiti propriamente detti a lingerie fino a décolleté e
gioielli. La carta è riciclata e questo ci fa immancabilmente riflettere. Quale
materiale di risulta è in linea con la volontà di un recupero dell’organico
motivato anche da ragioni ecologiche. Il riuso e la conversione del materiale
sono azioni autentiche con le quali la Scocozza plasma il suo materiale primo,
trasmettendo forme e contenuti. La carta diviene, dunque, tanto il fine stesso
dell’atto creativo quanto il mezzo fondamentale del progetto sostenibile,
condiviso con la poetessa Porta.
Sara Durantini nella prefazione al
volume osserva: «Siamo fatte di carta ha la particolarità di porsi come
un dialogo intimo tra la parola e l’immagine, un incontro tra poeta e artista.
La sua semplicità materiale si contrappone alla ricchezza creativa, sfidando l’idea
tradizionale di valore nell’arte».
Le poesie di
Porta divengono origami abilmente costruiti che man mano balzano dalla pagina e
prendono vita propria. I contenuti, talora intimi quando addirittura sociali,
dei suoi componimenti investono direttamente il lettore come quei libri-gioco
cartonati (o libri pop-up) per bambini che, aprendoli e sfogliandoli, vedono
costruirsi ed erigersi dinanzi a te montagne, mondi prismatici, costruzioni che
si fanno sempre più prossimi all’osservatore, destando stupore per la loro
grande capacità mimetica nella loro forma tridimensionale. Il prodotto finale è
un libro che non è solo oggetto ma essenza del meraviglioso: ricco e versatile
nei contenuti, muliebre e originale, si determina per la sua ricercatezza e
creatività che ne fa un oggetto che, in fondo, non è propriamente definibile in
chiave univoca. Sempre
la Durantini scrive: «un progetto che sfida le convenzioni e celebra la
creatività artistica come un’esperienza profondamente personale e
significativa».
Viviane Ciampi
ha scritto che le due autrici-compositrici «Non si limitano a celebrare la
femminilità in senso convenzionale, ma ne esplorano anche i lati oscuri, il
dolore, la strizzatina d’occhio, contraddizioni, lotte e vittorie. È un
ritratto autentico e potente di ciò che significa essere donna ‒ oggi ‒ in un
mondo implacabile, in continua evoluzione» concludendo soddisfatta e convinta
che questo «È un libro che pone domande. E non richiede risposte immediate».
L’altra potenzialità dell’opera è quella
di richiamare una serie di circostanze e archetipi dell’arte contemporanea in
cui l’elemento carta, in quanto materia scelta, diviene preminente. Dalla
tradizione del “libro d’artista”, esperimento personalissimo che contiene la
visione dell’Artista, ai più recenti e vari “attacchi d’arte”, veri e propri ready-made in cui la manualità si fa
incisiva da coniugarsi con maquillage artistici che chiamano a riflettere. La
predilezione per la carta delle nostre si configura come leitmotiv e isotopia
fondamentale della narrazione del proprio intimo in concordanza con una
sinergia tanto concettuale che materica. Viene da pensare, nel gioco tra
grafia, materia, disposizione del testo sul foglio, scelte tipografiche, spazi
inespressi e silenzi più o meno ampliati, anche alla stagione della poesia
visiva (o visual poetry) che nella
letteratura esordì con i Calligrammi
di Apollinaire e, nel nostro Paese, con le proposte di Govoni e Palazzeschi,
tra le altre.
Rilevanti, nei componimenti poetici
della Porta, risultano essere elementi che richiamano la tradizione orientale,
dal kigo o elemento stagionale
immancabile nell’haiku classico, alla filosofia del kintsugi vale a dire della ricostruzione coscienziosa di quel che
si è rotto. Cicatrice e ricucitura, ha forma nell’idea di bellezza insita
nell’imperfezione. Resilienza, permeabilità, rinascita e crescita personale che
ritroviamo anche in un suo haiku: «La poesia
traduce le ansie, / le ferite e le lacerazioni. / Libera la voce del cuore».
L’inflorescenza della rinascita, rappresentata dal sakura (bocciolo di ciliegio), si ritrova nell’arditezza creativa
della Scocozza che, con la carta, riproduce petali ed elementi floreali.
In vari testi qui raccolti l’Autrice
Floriana Porta riflette sul senso atavico e presente della poesia che lei
descrive in questi termini: «La poesia è la
mia voce, / la mia forza e la mia debolezza. / È un’armatura / dalla quale non provo neanche a
liberarmi».
I “vestimenti poetici” della Scocozza
comprendono lingerie, corpi d’abito, calzature, gioielli, altri ornamenti
caratterizzati da filamenti, orditi e ricami e oggetti d’accompagnamento in un
repertorio ampio e di chiaro genio artistico dove troviamo pure un alveare di
carta. Lo spazio infinitesimamente ridotto delle sue perfette celle richiama
l’idea di scambio e di passaggio, di un transfert
continuo tra dentro e fuori, ma anche di cooperazione e sostegno sociale per la
costruzione di un progetto corale. I gioielli della Scocozza hanno un pregiato
gusto che rimonta al Liberty mentre le maschere (tra cui “Divina indifferenza”,
opera del 2021) sono calchi di forte espressività di grande resa dei caratteri
impressi. L’accensione emotiva e posturale degli elementi facciali accentua le
intenzioni e le ansie, anticipa un discorso che è è dato da intuire al fruitore.
Siamo
fatte di carta
non è solo un libro ma una vera opera concettuale, che va fruita e apprezzata
per il suo genio e per la felice sinergia delle due autrici. «Ho imparato ad avere nuovi occhi / capaci di
stupirsi, di lasciarsi urtare / e colpire dalla bellezza» recita Floriana
Porta in un suo componimento e, dopo tutto, è quel che la poetessa riesce a
fare con questo volume: fa sì che l’opera – che è bellezza – ci colpisca. Dal
contatto con essa non rimarremo impassibili.
LORENZO SPURIO
*
Le autrici
Floriana
Porta
(Torino, 1975), vive a Vinovo (TO). Scrive, compone e dipinge sin da
giovanissima. Il suo stile poetico è vicino all’ermetismo, ben lontano da forme
retoriche e sentimentaliste, e si caratterizza per contemplazione e armonia.
Esperta di poesia giapponese, in particolare di haiku, baishù e tanka, forme poetiche particolarmente
legate all’ambiente naturale. Ha fatto parte per vari anni della giuria del
Concorso Internazionale di Haiku di Cascina Macondo. Ha pubblicato numerosi
libri, e-book e plaquette di poesia ed è presente in molte antologie poetiche.
Queste le sue pubblicazioni: Verso altri
cieli (2013), Quando sorride il mare
(2014), Dove si posa il bianco
(2014), L’acqua non parla (2015) Fin dentro il mattino (2014), La mia non è poesia (2017), I nomi delle
cose (2017), In un batter d’ali
(2018), Offro respiro ai versi
(2018), Il Giappone in controluce (2020) L’infinito
è in me (2021) e Siamo fatte di carta
(2024), quest’ultimo a quattro mani con Anna Maria Scocozza. Hanno scritto
della sua poesia numerosi critici ed esperti di poesia e letteratura tra i
quali Antonio Spagnuolo, Lucio Zinna, Viviane Ciampi, Pier Luigi Coda, Fortuna
della Porta, Ilaria Guidantoni, Andrea Galgano, Luciano Somma, Rosa Elisa
Giangoia, Giuseppe Conte, Camilla Ziglia e molti altri. Come artista si
riconosce allieva di Fernando Bibollet, Antonio Carena e Nino Aimone – tre
grandi pittori piemontesi – e ha esposto nel Torinese e nell’Astigiano le sue
opere ad acquerello e le sue fotografie. Collabora con riviste, cura il blog
“Le cetre dei poeti”, fa parte di giurie di premi letterari ed è la fondatrice
del gruppo poetico “Vinovo in poesia” con il quale organizza, dal 2017, presso
la biblioteca civica vinovese, incontri culturali e letterari. Tra le altre sue
passioni figurano la paleontologia e la fotografia.
Anna Maria Scocozza (Roma, 1965),
dove vive e lavora. Diplomata in Costume e Moda, ha frequentato, presso
l’Accademia di Belle Arti di Roma, la Scuola libera del nudo e molti corsi di
specializzazione di pittura e decorazione. Ha condotto numerosi
laboratori/workshop artistico-creativi e corsi di tecniche pittoriche presso
musei, scuole e centri di aggregazione giovanile per adolescenti, adulti e
bambini. Negli ultimi anni la sua ricerca artistica si è focalizzata sulla
realizzazione del suo “Guardaroba poetico”, e precedentemente sull’acquarello e
sui libri d’artista. La sua è un’arte non solo estetica, ma anche etica, tenta
di spingere lo spettatore a interrogarsi non soltanto verso tematiche sociali
che riguardano soprattutto le donne vittime di violenza. Costruisce le sue
opere “Indumenti poetici” con ciò che viene rifiutato, inutilizzato: vecchi
libri riciclati, destrutturati e ricreati, talvolta filati, a formare una
stoffa di carta, che utilizza come metafora poetica, visioni da indossare per
descrivere la realtà, anche quella più dolorosa; simboli visivi, archetipi
umani, che ci accompagnano nel nostro difficile viaggio terreno e spirituale.
Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia e all’estero
e le sue opere si trovano presso Musei, Fondazioni e Collezioni italiane e
straniere. Tra le partecipazioni più recenti figurano la mostra “Siamo fatte di
carta” al Museo Hendrik Cristian Andersen a Roma (2024) e la Triennale
Internazionale du papier Musèe Charmey in Svizzera.
[1] Il titolo del volume è tratto da
alcuni versi di una poesia della Porta dove si legge: «Siamo fatte di carta, / di storie perse nel tempo, / di alberi capaci
di sognare, / di narrazioni e di traguardi».
sabato 13 aprile 2024
"Rebus Banksy", la nuova opera di Andrea Del Monte, recensita da Lorenzo Spurio
È uscito il 6 dicembre scorso in tutte le librerie, per i tipi della romana Ensemble, Rebus Banksy, il nuovo libro-disco di Andrea Del Monte che porta quale sottotitolo L’uomo dall’arte ribelle.
Non si tratta solo di un libro dedicato
al grande artista e writer britannico
ma anche un libro di poesie, racconti e di musica. Nominare Banksy – si legge
nel comunicato di lancio dell’opera – significa solitamente catturare
immediatamente l’attenzione mediatica anche se l’interesse sociale spesso si
limita solo a cercare d’individuarne l’identità. Del Monte ha avuto modo di
osservare: «Per me,
l’identità di Banksy può restare un rebus. A me interessa la sua arte». Ed è tale
l’obiettivo del libro-disco: andare al di là del nome per approfondire,
attraverso alcune delle massime forme d’arte, tutti i significati che le opere
del celebre e al contempo misterioso writer
possono offrire. Emozioni, sentimenti, riflessioni, note e quant’altro.
Per realizzare l’opera Andrea Del Monte
si è avvalso della collaborazione di Jacopo Colabattista, che ha ridisegnato
dieci opere di Banksy, degli scrittori e poeti Vivian Lamarque, Antonio
Veneziani, Renzo Paris, Elisabetta Bucciarelli, Geraldina Colotti, Susanna
Schimperna, Giorgio Ghiotti, Gino Scartaghiande, Fernando Acitelli, Antonio
Pennacchi, Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Angelo Mastrandrea, Alessandro
Moscè, Claudio Finelli, Marcello Loprencipe, Diego Zandel, Helena Velena e Ugo
Magnanti.
Tra le opere di Banksy selezionate e qui
riprodotte figurano “Il lanciatore di fiori” (“The Flower Thrower”, opera in
stencil nero apparsa nel 1999 su un muro di Beit Sahour in Palestina) in cui in
una diapositiva di un’ipotetica intifada al posto delle pietre vengono lanciati
fiori a trasmettere un’idea di negazione della guerra nella quale la
collettività dovrebbe impegnarsi; “La madonna con la pistola” (apparso come
murales nei pressi di Piazza Gerolomini a Napoli) con un chiaro intento di
denuncia del fenomeno malavitoso camorrista; “Bambino migrante” (“Migrant
child”) opera apparsa nel 2019 su un muro di una casa lambita dall’acqua del
Canale a Venezia nel sestiere Dorsoduro, in cui il tema è l’immigrazione che
concerne il mondo dell’infanzia: il bambino tiene in mano un razzo di
segnalazione dal quale diparte una conformazione fumosa in un acceso color
fucsia ad intendere un SOS lanciato. Il critico Vittorio Sgarbi all’epoca
sostenne che era necessario un intervento protettivo per tutelare l’opera,
esposta alle intemperie e all’umidità vista la prossimità dell’acqua del Canale
che arriva a coprire addirittura i piedi del ragazzino ritratto.
Tra le altre opere di Banksy proposte
figurano “Il calciatore rivoluzionario” pensata per riferirsi all’Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), un movimento nato in Messico in
sostegno delle popolazioni indios contro il capitalismo rappresentato dal
Subcomandante Marcos; “Babbo Natale” apparso su un muro di Birmingham dove, a
un vero clochard che dorme steso su una panchina, il misterioso artista ha
pitturato sul muro le linee che collegano alle renne (la panchina sarebbe
dunque la slitta). Il canonico ridanciano Santa Claus è trasformato da Banksy
in clochard, povero derelitto che vive alle intemperie della vita, per
sottolineare il tema della marginalità delle periferie, della vulnerabilità e
della povertà sociale.
Si continua con “Evoluzione umana in
codice a barre” (o “Evoluzione della scimmia a codice a barre”) in cui nella
poesia collegata, a firma dello stesso Andrea Del Monte, leggiamo “Sono una persona, non sono un codice a
barre, / sono una persona, non sono uguale alle altre”. Fanno capolino il
tema dell’alienazione e della mancanza d’identità che in questa società
contemporanea purtroppo spopolano e che lasciano il posto alla generalizzazione
e al bieco relativismo. Con l’opera banksyana “Bambini sulle armi” (“Kids on
guns”) ritorna il tema della violenza, della guerra, riferito all’inerme mondo
dei bambini: qui due ragazzi sono ritratti vicini sulla sommità di un cumulo di
armi d’artiglieria. Il tutto ha – come capita quasi sempre – una colorazione
nera mentre il palloncino che reggono e che si eleva verso l’alto (a differenza
delle armi, in basso) è di colore rosso e ha una forma di cuore. Associata a
quest’opera è una cantilenesca poesia di Vivian Lamarque – poetessa da sempre
particolarmente legata al mondo dei minori – intitolata “Filastrocca in
disarmo” che recita: “C’era una guerra
così intelligente / che solo lei si capiva / gli altri non capivano niente, /
gli altri non capivano niente”. E poi, verso la chiusa: “Morivano tutti anche i bambini / […] // Ma
più di tutti moriva il mare / vedendo i bambini morire di mare”.
C’è poi la curiosa “Banconota Lady Diana
/ Di-Faced Turner” che ritrae una fantasiosa banconota con l’immagine della
Principessa dei Cuori e, al posto di Bank of England, Banksy of England. Si
tratta, come avviene nella maggior parte dei casi, di una provocazione.
L’artista vuol forse riferirsi allo stigma della donna per l’allontanamento
dalla Real Casa e al clima d’odio fomentato da certa stampa, alla sua
vulnerabilità di donna e alla solitudine del suo ultimo periodo prima del
tragico incidente nella Capitale francese. Nella poesia di Susanna Schimperna
dedicata alla Principessa si legge: “Lei
era troppo dolce / guardava intimidita sempre da un’altra parte”.
Tra le ultime opere proposte in questo
volume grafico, poetico, narrativo e musicale ci sono “Il bacio dei poliziotti”
(“Kissing Coppers”) e “La bambina con il palloncino” (“Balloon girl”)
quest’ultima accompagnata, in chiave poetica, da un testo di Elisabetta
Bucciarelli.
Rebus
Banksy,
che è un’opera polifonica e multimediale, contiene anche quattro interviste ad
altrettanti esponenti del mondo artistico in tutte le sue declinazioni:
Vittorio Sgarbi, Vauro Senesi, Sabina De Gregori (autrice del primo libro, nel
nostro Paese, dedicato al geniale artista di strada, Banksy, il terrorista dell’arte, opera del 2010) e Giuseppe
Pollicelli. Il medesimo format d’intervista è proposto per i quattro esponenti
intervistati. Diverse sono le considerazioni attorno alle potenzialità della street art di Banksy, a fornire uno
scenario completo e variegato, motivo di riflessione.
Mediante il codice QR che figura nel
colophon del libro è possibile ascoltare le dieci canzoni che l’Autore ha
prodotto in collaborazione con artisti di fama mondiale tra i quali John
Jackson (storico chitarrista di Bob Dylan), Fernando Saunders (produttore e
bassista di Lou Reed) ed Ezio Bonicelli (violinista e chitarrista di Giovanni
L. Ferretti e dei CCCP).
Andrea Del Monte è chitarrista,
cantautore e compositore. Ha partecipato allo storico festival “Il Cantagiro”
dell’edizione 2007, risultando vincitore del premio della critica. Si è più
volte esibito a Casa Sanremo e nel Sanremo Off e in alcune tappe di Radio
Italia. Al suo primo EP hanno collaborato John Jackson e il musicista ed
etnomusicologo Ambrogio Sparagna. Ha pubblicato il libro Brigantesse, storie d’amore e di fucile (Ponte Sisto, Roma, 2019) il
cui disco allegato si apre con l’intervento di Sabrina Ferilli e il libro-disco
Puzzle Pasolini (Ensemble, Roma, 2022)
con il quale ha ricevuto in Campidoglio i premi “Microfono d’oro”, “Antenna d’oro
per la TIVVU” e il “Sette Colli”. A Lanuvio l’opera è stata premiata con il
premio speciale “Croffi – Castelli Romani Film Festival”.
Lorenzo Spurio
Matera, 08/0/2024
lunedì 4 marzo 2024
Lorenzo Spurio su "Il tempo della carestia", ultima opera poetica del pugliese Gianni Antonio Palumbo
La
nuova opera poetica di Gianni Antonio Palumbo – docente universitario,
apprezzato anche quale critico letterario – porta il titolo apparentemente
emblematico de Il tempo della carestia.
Di quale carestia stiamo parlando? In realtà la domanda basilare e propedeutica
che bisognerebbe porsi è che cosa voglia intendere l’Autore con il termine
“carestia”. Probabilmente – stiamo, comunque, nel campo dell’inferenza –
l’utilizzo di questo termine è in forma analogica e personalizzata, forse
addirittura ermetica o depistante. Vedremo nel corso di questa breve analisi
quali di queste considerazioni possano sembrare più lontane dall’evidenza,
dalla realtà, dalle intenzioni – più o meno palesate – del Nostro.
Un
breve excursus dell’ampio e notevole percorso letterario dell’Autore è
senz’altro utile a questa altezza, anche perché ci permette di comprendere meglio
anche le numerosi fonti citate, le influenze, gli echi e le reminiscenze
letterarie, i camei, le ricorrenze e le circostanze che hanno motivato la
stesura di determinati testi.
Gianni
Antonio Palumbo (Molfetta, BA, 1978) è attualmente docente di Filologia
letteraria italiana e Metodologia della critica letteraria presso l’Università
di Foggia. Quale critico letterario si è occupato prevalentemente della letteratura
italiana del Rinascimento, dell’Ottocento e di quella contemporanea con vari
saggi, studi e recensioni anche di volumi di autori contemporanei. Per la
saggistica in volume ha pubblicato Vestali
in un mondo senza sogni (SECOP, 2011) e La
biblioteca di un grammatico (Cacucci, 2012), quest’ultimo sull’umanista
Giuniano Maio e curato l’edizione delle Rime
(Stilo, 2019) della poetessa lucana Isabella Morra. Sue poesie sono state
tradotte in varie lingue e di lui hanno parlato, tra gli altri, in volumi e studi
sulla letteratura pugliese, i docenti universitari e critici letterari Ettore
Catalano e Daniele Maria Pegorari. Per la narrativa ha pubblicato il romanzo Non alla luna, non al vento di marzo
(Schena, 2006) e la raccolta di racconti Il
segreto di Chelidonia (SECOP, 2014); attivo anche in campo drammaturgico
con la stesura di pièce teatrali, tra cui alcune totalmente inedite. Già
redattore della storica rivista barese «La Vallisa», lo è ora delle riviste «Luce e Vita»,
«Quindici» e collaboratore di «Menabò».
Nella parte centrale della copertina appare un
particolare di una tela dai colori ambrati che ritrae una donna, probabilmente
immagine di una musa, che suona uno strumento a corde. L’immagine, dal chiaro ed
elegante gusto preraffaelita, c’introduce in questo percorso poetico
volutamente strutturato in vari itinerari interni, micro-sillogi dotate di un
proprio titolo, con un numero di componimenti diversi e afferenti a sfere
tematico-concettuali differenti che l’Autore ha inteso evidenziare proprio mediante
questa sorta di “catalogazione per capitoli”. Palumbo ha deciso di pubblicare
anche vari componimenti non nuovi, non inediti, già apparsi su riviste con le
quali collabora o su altri libri (suoi o di terzi, prevalentemente in
operazioni editoriali di tipo antologico).
Il tempo
della carestia esordisce con “L’autoaprentesi apertura” (espressione che credo voglia
richiamare un passo de L’origine
dell’opera d’arte del filosofo Heidegger), si snoda nella sezione
“Variazione di Selene” con liriche incentrate sul canto (e la ricerca, il
colloquio) con la Luna – un tema ricorrente nella poesia di tutti i tempi – in
cui la luna non è solo elemento di fascino ma motivo interloquitivo e
meditativo (“La notte è nel respiro / la
notte è forma dei nostri pensieri. / […] / Siamo notte notte notte”, 42).
Immagine-emblema che ha la sua coda luminosa nella sezione successiva, “Non
alla luna, non al vento di marzo” che contiene, tra le altre, liriche molto
appassionate quali “Memory” e “Nostalgia”. Uno dei temi centrali è quello del
ricordo richiamato in forma sottrattiva, vale a dire nella perplessità della
memoria, nel timore dinanzi alla dimenticanza (“senza ricordi / sarei un’ombra”, 52). Ci sono due piccole sezioni
del volume dedicate ad alcuni luoghi conosciuti e frequentati dal Nostro, con
particolare alle città di Bari e Brindisi, e l’altra ai “Familiares”,
componimenti che trovano nei rapporti di affetto e stima verso propri cari il
motivo trainante per la relativa stesura. In “Lari e miti” il sostrato è interamente
di tradizione classica, con rievocazioni, echi e comparazioni, attualizzazioni
e considerazioni su personaggi mitologici e le loro particolarità tramandate da
sempre. Troviamo affrontata anche la dimensione religiosa nella sezione “Canti
spirituali”. Le sezioni conclusive sono “Trionfi” e “L’asfalto e la grazia”, un
poemetto.
Per ritornare al dubbio iniziale sul modo in cui è
possibile concepire il concetto di “carestia” che Palumbo ha voluto mettere in
campo quale emblema del tempo che ha inteso descrivere e narrare in versi
possiamo senz’altro porci delle domande. Non credo voglia alludere
semplicemente a una mancanza d’alimentazione generalizzata, di fame sociale o,
per lo meno, non da intendere come una fame concreta e oggettiva, da saziare
con alimenti reali. L’Autore potrebbe riferirsi a una situazione di carestia –
di penuria, di mancanza e sofferenza, di vulnerabilità – che è dettata da un
impoverimento immateriale, di tipo etico, di sterilità sentimentale, di
disattenzione all’altro. L’esergo, in un tono quasi apocalittico, può farci
pensare a una sorta di minaccia d’imminente concretizzazione, di uno
spauracchio dietro l’angolo e, dunque, il tempo della carestia potrebbe essere
quello dell’SOS, della ricerca d’aiuto prima di sprofondare completamente
nell’abisso, di addentrarsi senza appigli nel pieno della carestia. Carestia
umana, emozionale, dei rapporti, delle intenzioni, intesa come una sospensione
che ha dell’irreale ma che l’Autore richiama quale limite massimo che si
appresta a essere valicato perigliosamente. È quel che sembra dirci il “Cantico
del Controsamaritano” che apre l’intero libro in cui, con freddezza e
noncuranza, si legge “Lasciai morire un
uomo per ignavia” (9); “voltai la
testa altrove” (10), “noi che
assistemmo allo scempio dell’umano” (11) e che fa concludere l’io lirico in
un moto di disapprovazione e d’implorante castigo: “dacci la vergogna della nostra indifferenza” (11). A questo
atteggiamento dettato dalla morbosa impassibilità Palumbo contrappone la
solidale compassione e la partecipazione emotiva come quando considera e parla
delle addolorate “madri d’Argentina / che
hanno smarrito i figli” (107) pur dinanzi all’evidenza della corruzione e
della meschinità dei tempi che dominano in “questa
nostra smarginata terra” (19).
Matera, 23/01/2024
lunedì 5 febbraio 2024
Lorenzo Spurio su "Tania di Malta", nuova opera poetica della poetessa Tania Di Malta
Recensione di Lorenzo Spurio
L’opera
s’iscrive in un denso percorso letterario che segue i precedenti lavori Aquiloni sul mare nella notte (CTL,
Livorno, 2017) e Addio ai girasoli (CTL,
Livorno, 2018) ed è la naturale prosecuzione di una lunga e convinta adesione
al Movimento del Realismo Terminale (il cui Manifesto venne redatto e siglato
dal Maestro Guido Oldani nel 2010) al quale ha fatto parte dall’ottobre 2017 al
settembre 2023.
La
Di Malta collabora attivamente da anni tanto con Oldani (che apre il nuovo
volume con una sua breve nota prefattiva) che con il professore Giuseppe
Langella, già ordinario di Letteratura Italiana all’Università Cattolica di
Milano, considerato uno dei maggiori “teorici” del Movimento.
Oldani
osserva che i testi della Di Malta “scorrono
negli spigoli dell’armonia, fra l’ossatura della poesia civile e l’umanitarietà
del singolo rapporto esistenziale” (7-8). Stile, immagini, concetti
prettamente realista-terminali, echi e linguismi particolari (compresi
esterofilismi) si coniugano in un dettato lirico prevalentemente asciutto e in
alcuni tratti ruvido, tendente più a depistare che a rivelare. Non mancano
sguardi critici verso il reale circostante, mai disgiunti dalla
compartecipazione robusta e cosciente ai fatti – più o meno piacevoli, anzi
spesso drammatici quando non addirittura traumatici – della contemporaneità. “Questo mondo trita divora inghiotte / e alla
cassa evade lo scontrino” (23).
La
metafora rovesciata, che è cardine fondante della poetica dei realisti
terminali, si concettualizza in una oggettivazione anche dell’immateriale, in
un transfert (a volte spaventoso,
altre volte riflesso di una distopia che s’avvicina) da organico a materia
inerte. L’approccio è chiaramente polemico (nel senso autentico del termine, di
“battagliero”) e tragicomico: anche l’identità dell’individuo, che dovrebbe
essere peculiare e distintiva, può divenire indistinguibile e generico oggetto.
Sono Di Malta – recita il titolo
dell’opera – che è una sorta di gioco intelligente sull’omonimia e la
polisemantica che proviene da un intendimento di questo tipo. A ragione Langella etichetta l’Autrice (alla
quale dedica un’impressiva poesia posizionata in apertura del volume) nei
termini di “un bazooka, […] un
lanciafiamme” (9) con l’aggiunta, pochi versi dopo, di una dichiarazione
potente: “Ha fegato e cuore da guerriera”
(9).
Due
poesie, in apertura, sono poste “a specchio”, si tratta di “Flash”, in ricordo
delle vittime di Hiroshima e Nagasaki dei tremendi attacchi nucleari del 1945
(“nel cielo s’aprì il sesto sigillo //
[…] // Lì dove l’erba mutò in cemento”, 11) e “Le colpe dei padri”, coda
riflessiva e postuma dell’eccidio ormai storia lontana di cui indirettamente
possiamo sentirci responsabili.
L’opera
si snoda in cinque micro-sillogi interne, ciascuna dotata di una sua propria
titolazione: “La piazza”, “Luna park”, “Il cono d’ombra”, “La Pandemia” e “Un
secchio d’azzurro”. Si ritrovano nel volume alcuni testi precedentemente letti
(e commentati) facenti parti del volume già citato Il gommone forato (2022) tra cui “Icaro.com” dedicata a Laurent
Barthélémy, colui che nel 2020 “vol[le]
fare di un carrello le [s]ue ali” (27), divenuto poi “bagaglio in aeroporto” (27), dedicata a colui che “part[ì] bimbo, arriv[ò] surgelato” (27).
Nella sezione dedicata alla pandemia sono contenuti versi che tratteggiano
quegli attimi dolorosi visti e vissuti direttamente dalla trincea ospedaliera,
dove l’Autrice lavorava e lavora, impiegando un linguaggio rarefatto, denso di
terminologie farmaceutiche, in una sospensione di respiro a tratti ottundente,
ma c’è anche il ricordo dell’estrema solitudine del Pontefice in Piazza San
Pietro in quelle ore tragiche dettate dal distanziamento e dalla paranoia
collettiva.
Una
boccata d’aria pulita e un vento sorgivo che annuncia una lieve rinascita dopo
la sconvolgente esperienza sociale che ci ha divisi, impoveriti di cari e amici
e forse responsabilizzato un po’ verso l’altro, sono contenuti nei pochi versi
finali che appartengono alla sezione “Un secchio d’azzurro”: “Apri le cancellate della mente / infrangila
la bolla d’aria e prova / la voluttà di un tuffo rovesciato / per esperimenti
di felicità” (79). L’approdo di una nuova età non è semplice risultante
consecutiva al procedimento complesso e affastellato dei fatti e degli
accadimenti, ma necessita di resilienza, impegno e compromissione, d’intervento
attivo e di spirito polemico, di rivendicazione onesta delle proprie idee, che è
quella “voluttà di un tuffo rovesciato”
di cui la Nostra ci parla.
[1] La mia
recensione a quest’opera è stata pubblicata sulla rivista «Oblio», anno XII, n°
46, dicembre 2022, pp. 201-203.